La stagione che si avvia alla conclusione ha visto il succedersi di due eventi particolarmente significativi circa lo stato dell’informazione digitale nostrana.
Il 9 agosto è stata ufficializzata la
vendita di Matrix – la società che controlla Virgilio.it – da Telecom a Libero.it. Nella mani di un solo proprietario si crea un unico player capace di performare oltre 1
5 milioni di utenti al mese.
Qualche giorno dopo Italia Oggi (
qui e
qui) riportava la notizia delle difficoltà economiche de
Linkiesta: perdite per un milione di euro e conseguente necessità di aumento del capitale. Un prodotto di alta qualità – per il sottoscritto una delle migliori iniziative editoriali degli ultimi anni – che non è in grado di generare un equilibrio economico. Nel 2011 i costi sono stati di oltre un milione di euro (737mila per il personale), mentre gli incassi sono stati pari a 49mila euro dalla pubblicità, 10mila per la fornitura di servizi, 9mila euro dalle sottoscrizioni e 1.000 dalle donazioni.
La fusione Libero/Virgilio e le vicende del quotidiano all news meritano qualche osservazione.
1) Il mercato dell’online è attualmente ancorato ai
grossi volumi di traffico, alla quantità. Le cause sono molteplici, io sono convinto che esista una scorretta valutazione delle reali potenzialità dell’advertising. In ogni caso “così è se vi pare”. Almeno fino a quanto esisterà la logica del Cpm “sotto-costo”.
2) Nel paese la creazione di una
massa intelligente (nella definizione data dall’Economist) se è possibile non è capace di garantire introiti rilevanti.
3) E’ necessaria una riflessione – rapida e aderente alla situazione economica – sul contratto che definisce la
professione giornalistica. Il mercato dell’informazione è composto da player diversi. I contratti applicati a chi produce contenuti sono molteplici: commercio, grafici, telecomunicazioni. Chi per onestà o perché costretto deve ricorrere al contratto giornalistico – decisamente più oneroso e meno adattabile alle esigenze di un’impresa – subisce uno svantaggio competitivo. Occorre cambiare, impostare nuove regole. Una direzione che non porta – se si vuole – alla rinuncia dei principi che caratterizzano la professione.
In ogni caso, le dinamiche economiche e tecnologiche stanno esiliando e mutando le vecchie norme contrattuali. Meglio farlo attraverso una collaborazione delle parti sociali, piuttosto che lasciare fare la mercato.