Il punto di partenza è il medesimo. Guerre, tragedie, dolore: video e foto che fissano questi eventi della vita sono entrati in modo prepotente sul palcoscenico digitale dell’auto-produzione e dell’auto-distribuzione.
Cambiamento sostanziale rispetto a soli pochi anni fa. I media
mainstream erano i monopolisti della produzione del dolore. La
pubblicazione era selezionata e filtrata, in funzione delle variabili
politiche, religiose e di costume.
Le piattaforme
tecnologiche hanno sgretolato il ruolo di grande censore assegnato ai media. Le
video-immagini di estrema violenza realizzate in modo non
professionale, sono diffuse e commentate. Sono ciniche, feroci. Ma c'è dell’altro oltre l'insano e insensibile
protagonismo. Questo flusso disorganizzato, che si rivolge a una vasta
platea, riporta l’evento morte sulla dimensione del vivere, quasi a riallacciare
un rapporto con le società preindustriali.
Fino all'età moderna la fine della vita è parte del quotidiano. La rivoluzione industriale, lo sviluppo economico e il benessere –
soprattutto del secondo dopo-guerra – hanno ghettizzato il dolore in una
sfera privata. Eppure la cultura occidentale fonda parte delle proprie
radici sulla morte come evento normale, i cui confini di separazione dal
vivere sono sfocati, indistinti. Nell’Odissea e nell’Eneide, nella
Divina Commedia, il viaggio nell'aldilà diventa un racconto che confonde
e unisce le diverse dimensioni. Chi non c’è più continua a soffrire,
gioire. Un legame tenace con la vita testimoniato nelle canzoni popolari
e dai cimiteri posti all'interno delle città, nelle cui
vicinanze si svolgevano fiere, mercati. Nel Vangelo il dolore e la morte
sono il passaggio alla vita eterna. La passione – come espiazione dal
peccato – è uno degli elementi fondati del cristianesimo e, dunque,
della cultura europea.
Sui social network c'è protagonismo senza scrupoli. E Internet ha contributo in parte ad addomesticare
la sensibilità, il senso del rispetto. C'è il rischio che il contatto
parziale, fatto di frammenti, decontestualizzato, favorisca la
spettacolarizzazione e l'indifferenza. La valletta nuda sta sullo stesso
piano della sofferenza. La riduzione al click, alla page view è
innegabile. Ma sono osservazioni parziali. Resto convinto che, quale che sia lo scopo di chi ha pubblicato foto e
video, queste rappresentazioni ci sbattano in faccia uno degli aspetti
della vita – seppure spiacevole – e creino piccole crepe sul tabù costruito dalla società dei consumi.
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