La copertura mediatica del tema “riscaldamento globale” è precipitata nel corso degli anni post crisi economica. Eppure il 2010 è stato uno degli anni più caldi dell’ultimo secolo e mezzo (qui, il post di Antonello Pasini, qui un tool su l’impatto ambientale delle abitudini quotidiane).
Segno dell’influenza – nella rappresentazione della realtà – dell’agenda programmata dai media mainstream. Plasmata sull’attualità e sulla connessa emotività dell’utente-lettore.
Ecosistema informativo scolpito dalla prevalenza di due specie dominanti. La politica mediatica, intesa come potere avvolgente l’apparato di produzione editoriale e l’evento in grado di creare ansia e percezione di pericolo. L’effetto serra riceve la massima consacrazione nella torrida estate del 2003, gli assiomi “caldo-che-causa-decessi” e “paura-per-il-futuro” sono perfetti. Da quei giorni il global warming esce dalle pubblicazioni degli scienziati e finisce nella casa dell’uomo medio.
L’architrave fondata su queste colonne è debole, non tanto per diffusione o numero di lettori, quanto piuttosto per l’alto tasso di riproducibilità e la scarsa originalità. Si è avvitato un processo che ha portato dalla carta stampata – riproduzione industriale del supporto – alla stampa della notizia, la riproduzione del fatto.
La concorrenza sleale del web – accusa rimbalzata nel recente congresso del Fnsi (qui) – sta nella struttura “digitale” della piattaforma, caratterizzata da una semplificazione dell’attività di copiatura.
Il decadimento della qualità e dell’autorevolezza ha altri colpevoli.
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