Le vicende che hanno portato all’individuazione e all’uccisione di bin Laden sono state raccontate da tutti i quotidiani in più pagine. Ricostruzioni grafiche, opinioni, foto.
Il racconto è diventato storia. Un inizio, l’intreccio, la chiusura. C’è, ed è percepita, una soluzione di continuità. C’è la sensazione – reale – di avere del tempo a disposizione: per riflettere, sviluppare ragionamenti. Anche l’eventuale necessità di cercare altri approfondimenti si muove lungo coordinate temporali “lente”.
Quella dei giornali di carta è una dimensione di silenzio della lettura che, per me – adottato digitale –, non solo è conosciuta, ma considero irrinunciabile nel percorso della comprensione della realtà.
La comunicazione digitale ha tempi veloci, produce rumore, si sviluppa su coordinante non lineari. Con tutta probabilità è l’ecosistema di riferimento per la cosiddetta generazione Y, quella nata e cresciuta tra computer e smartphone, tablet.
Mi chiedo se l’orizzonte che si sta formando non possa alla lunga nuocere all’intero sistema dell’informazione e alla formazione di cittadini consapevoli.
Il flusso – enorme – di tweet, post e bit, contiene sicuramente potenzialità informative fino a ieri sconosciute, ma – nello stesso tempo – genera una conoscenza “isterica” e comunque superficiale.
Forse domani il ruolo di editori e giornalisti sarà quello di produttori filtranti (dei contenuti generati dalla reti digitali). Forse. E a un patto: che ci siano ancora lettori interessati (e in numero sufficiente) ad andare oltre a un feed di notizie.
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