Il dato, noto: editoria ed ecosistema dell’informazione – due realtà che hanno un ambito in comune, ma non coincidono – in difficoltà a causa dell’azione congiunta crisi-economica e internet. Peraltro qualche segnale sembra spostare un po’ più in là la fine del sistema old media, soprattutto quello legato alla carta. Il mercato britannico – qui l’articolo pubblicato dal Guardian – e quello Usa – leggi qui - mostrano evidenze di una timida ripresa.
Ovviamente la crisi esiste, non è l’invenzione di giornalisti faziosi. Da ciò i numerosi i tentativi e le sperimentazioni per trovare un modello di business sostenibile e credibile. Ma fino ad oggi grandi risultati non sono noti, l’inversione di tendenza è in gran parte legata a un miglioramento del mercato pubblicitario, un salvagente tendenzialmente esogeno al sistema.
La mia sensazione è quella di una navigazione a vista, non solo degli addetti alla “vecchia editoria”, pure gli homines novi, provenienti dalla realtà digitale non hanno idee chiarissime sul tema. E su questo mi permetto di fare tre osservazioni, decisamente provocatorie.
Prima. Nel raccontare il nuovo panorama scolpito dalla rete, le interazioni tra giornali/giornalismo e comunicazione di massa (dove dentro ci metto il giornalismo di base) spesso sono utilizzati esempi legati all’eccezionalità: il terremoto in Abruzzo, la rivoluzione verde in Iran, il terremoto in Haiti, la campagna elettorale di Obama. Eventi in cui la rete ha dato prova e capacità di affrontare l’urgenza in maniera efficace ed efficiente. Eventi da cui si parte per abbozzare nuove sperimentazioni.
Per fortuna l’eccezionalità non è la regola. I reporter-cittadini cosa potrebbero raccontare in un tranquillo week end d’estate? Non intendo negare i cambiamenti che internet sta creando, ma il ricorso a questi esempi è un poco abusato. Tra l’altro ci sono argomenti che potrebbero essere usati per sminuire la capacità dei media sociali di fare giornalismo. Penso al calcio mercato. Le diverse notizie provengono da categorie professionali identificate. Che poi pubblicano su internet, ma non è giornalismo di base (se non a livello successivo, quello dei commenti).
Seconda. Il giornalismo d’inchiesta è importante, svolge un ruolo decisivo. Ma un sistema d’informazione non è solo questo. Un sito o un quotidiano hanno una complessità, frutto dell’integrazione di diversi articoli, rubriche, di cui l’inchiesta è solo una parte. E il controllo sui poteri – ruolo affidato negli Stati democratici alla stampa – passa anche per altri canali. Uno di questo è la divulgazione economico-finanziaria.
Terza. Nella ricerca dei modelli sostenibili c’è l’abitudine di descrivere i cambiamenti effettuati dai grandi giornali, specie stranieri. Come l’unificazione, stampa-online, delle redazioni, la creazione dei social editor, ecc, ecc, ecc. Pochi si soffermano su quello che stanno facendo realtà primarie nel panorama internet, almeno per quanto riguarda il nostro paese. Queste realtà sono i portali, campioni di traffico che non fanno giornalismo nel senso stretto della parola, ma informazione sicuramente sì. Peraltro numerose ricerche dimostrano come gli utenti accendano alle notizie tramite questi siti. Il menù offerto dai portali comprende – in aggiunta all’informazione – la ricerca, una ricca piattaforma di servizi e accettabili strumenti “sociali”. Altro dato da considerare: in molti casi il modello economico funziona.
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