Se la raccolta pubblicitaria si fonda su dati di traffico quantitativi, i comportamenti del lettore sono la guida per la produzione e la programmazione editoriale. Scelta che porta con sé il rischio di assecondare pedissequamente la pancia, anziché la mente.
In rete molte realtà, con i conti economici a posto, dunque definibili di successo, aderiscono quotidianamente a questa strategia.
Viene da chiedersi quanto siano definibili "giornalistici" o comunque "editoriali" siti di questo genere.
Non solo. Il rumore di fondo, ovvero la produzione come massa indistinta di lettere, suoni e immagini, per quanto interesserà il lettore? E fino a quando la pubblicità indistinta, appiccicata addosso, svolgerà una funzione efficace per gli investitori? Le risposte arriveranno dal futuro prossimo. Per ora la matrice utenti unici/pagine viste rimane la determinante economica.
Tom Forensky, giornalista ex Financial Times (qui via Lsdi), per salvare il contenuto dallo tsunami mediatico che investe il lettore – con il rischio di passare inosservato – punta decisamente sulla qualità e sulla caratterizzazione del prodotto. Soluzione tanto interessante quanto ovvia. E che richiede troppo tempo perché possa rendersi efficace. Tempo che molte organizzazioni – e i loro bilanci – non hanno.
Interessante il post di Howard Kurtz, Washington Post, sulle frustrazioni da dati di traffico. L'attenzione al click non ha risparmiato le redazioni dei grandi quotidiani Usa.
Alla sfida di rendere economicamente sostenibile il nuovo ecosistema dell’informazione, se ne aggiunge un’altra: mantenerla su percorsi di dignitosa qualità. Un problema che sfiora editori verticali, ma colpisce in pieno quelli generalisti. Almeno fino a quando la quantità sarà la metrica degli investimenti pubblicitari.
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