Marco Pratellesi, Mediablog, riporta l’intervento di David Randall, senior editor del settimanale Independent on Sunday di Londra, tenuto in occasione del seminario di formazione “Giornalisti nonostante” (Roma).
Il giornalista britannico è critico verso il citizen journalism e i blogger.
«… l’idea che i cittadini giornalisti vadano a sostituire persone come noi è assolutamente folle. È come parlare di un cittadino dentista. Quello che noi siamo è una risorsa. La maggior parte dei blogger sono lì seduti in camera in pigiama, si grattano la testa e scrivono quello che pensano, ma è semplicemente quello che pensano», ha detto Randall.
Forse la critica è troppo dura e l’immagine di principianti in pigiama esagerata, ma condivido la critica. E con questo non voglio difendere ordini e corporazioni di mestiere.
Per raccontare dei fatti è necessario un bagaglio professionale. Imprescindibile. Non è un caso che i blog più diffusi della Penisola appartengano giornalisti.
La blogosfera, Twitter e suoi simili, sono importantissimi, ma rappresentano una fonte. Materiale da valutare e plasmare per realizzare la notizia. Oppure sono un canale, un media.
Ovviamente accanto a un giornalismo di qualità può coesistere la comunicazione di massa che in qualche caso è pure informazione. Ma non sempre.
E’ il caso, per esempio, di Twitter, spesso citato come un nuovo modo di fare giornalismo dal basso. Prendiamo due tragici eventi dello scorso anno. Il terremoto de L’Aquila e l’incidente aereo in Brasile.
Primo caso. La comparsa su Twitter di messaggi a pochi minuti dall’evento è portata come case history dell’efficienza del social network. E’ vero, i post hanno anticipato le agenzie giornalistiche, ma non hanno fatto giornalismo. Hanno comunicato un evento, sotto la pressione dell’emozione. Fatti “grezzi”, da valutare. Il blocco di marmo per lo scultore.
Secondo caso, l’incidente aereo. Come se la sono cavata i giornalisti di base? Male. Qui l’accesso all'evento è stato a totale appannaggio dei professionisti. Senza testate, senza giornalisti. Senza la filiera produttiva dell’informazione, i blogger avrebbero scritto poco – o nulla –.
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