Il nome della testata non può essere più chiaro. Le 48 ore indicano il tempo per realizzare il magazine. Un giorno per decidere gli argomenti – cosa scrivere -. Un altro per l’editing e l’impaginazione.
Un record, possibile grazie al crowd sourcing, ovvero percorrendo modalità di lavoro simili a quelle utilizzate per Wikipedia.
La rivista nata dai bit del web finirà su carta. Inizialmente sarà stampata “a richiesta” anche se nel futuro ci sono una distribuzione nei tradizionali punti vendita e un sito online.
Facendo ricorso ad ampie dosi di beneficio d’inventario – non ho letto la rivista e online c’è poco – 48 Hours è singolare non solo per i tempi di realizzazione. E’ interessante la commistione tra il vecchio e il nuovo. Il passaggio dal web alla stampa non è un’assoluta novità, recentemente Rue89, un sito francese d'informazione, ha deciso di esordire in edicola.
Ma il magazine americano utilizza più a fondo le potenzialità delle rete, cercando e condividendo, selezionando – e poi stampando – i contributi di un network, di un gruppo di persone.
Sono tentativi, prove. Come lo sono le applicazioni su smartphone, sui tablet.
L’editoria e chi si occupa d'informazione - in questo periodo - vivono di scommesse, di esplorazioni per capire le potenzialità delle nuove tecnologie.
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