La lettera del direttore De Bortoli ai giornalisti del Corriera (qui e qui il comunicato del Cdr) ha riportato d’attualità due temi.
Primo: la sostenibilità del contratto nazionale, nella sua parte economica e nella sua parte organizzativa.
Secondo, non meno importate: è stata ufficialmente sollevata la questione dell’applicazione dello stesso in numerose redazioni online ("… E, infatti, vi sfido a contare in quanti casi sulla rete è applicato il contratto di giornalista professionista… ").
La questione è questa: ha senso avere un contratto “forte” se poi non è quasi sistematicamente applicato in quel settori – la rete, il mobile – considerati i protagonisti principali nel modellare l’informazione di domani?
E non sempre le imprese ricorrono ad altri accordi collettivi con l’unico scopo – lo dico brutalmente – di pagare il meno possibile le risorse umane.
Forse il contratto non risponde più alla realtà della filiera produttiva.
Si dovrebbe avere il coraggio di comprendere le forme del odierno panorama informativo, per stilare regole diverse. Una nuova piattaforma comune che garantisca la tutela della deontologia professionale e dei diritti dei lavoratori. E nello stesso tempo permetta, a tutte le organizzazioni aziendali, di competere sul mercato ad armi pari.
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