venerdì 24 ottobre 2014

La pupa, il secchione e il senso dell'informazione



Michele Serra qualche giorno fa, nel suo appuntamento quotidiano su Repubblica, si lanciava – pure lui – nella profezia circa il futuro digitale (qui) del sistema dell'informazione. L’utenza, sostiene, è destinata sempre più a dividersi fra i letterati, quelli con un livello medio altro di istruzione, che potranno pagare gli abbonamenti e fra gli illetterati, i semi analfabeti, illusi dal falso mito delle news gratuite, per questo destinate al trash, che abbonda in ogni luogo dove esiste un pixel (a dire il vero anche dove esiste un paywall).

Che esista una diffusa e scarsa istruzione non è notizia nuova. E a ben vedere le cause e gli effetti si sono palesati prima dell’avvento di social, web e smartphone. L’analfabetismo di ritorno – di cui il paese detiene un penoso record (sul tema da leggere “La cultura degli italiani” di Tullio De Mauro) – è un fenomeno antecedente alla diffusione di massa degli strumenti tecnologici.
Sono stati gli anni ’80 quelli durante i quali la diffusione del sapere – intesa come capacità di comprensione della realtà – ha iniziato a incepparsi, con il progressivo smantellamento dell'istruzione pubblica.

L'informazione per le élite e per la massa c’è sempre stata. E pure l’illusione del tutto gratis. Facile ricordare i programmi, telegiornali compresi, delle varie televisioni private con gli annessi spot. No, il mondo digitale non ha e non accentuerà la distanza tra chi sa e chi non è capace di comprendere. Anzi potenzialmente – a differenza della televisione e della carta stampata – possiede la capacità di operare in senso decisamente contrario e non necessariamente sotto l’egida di un paywall.

Chi dice che le campagne pubblicitarie associate alla cronaca nera, agli scandali sessuali e al gossip siano così efficaci? Qua e là ci sono dei ripensamenti, si stanno formulando nuove strategie che non porteranno verso un'età dell’oro del sapere, ma hanno con sé il seme – anche con fini commerciali, sia chiaro – di puntare a un pubblico più maturo, più attento. Che resti sulla pagina, legga l’articolo e magari dia un’occhiata anche alla pubblicità.

Questa non è istruzione, non è neppure cultura, ma è pur sempre qualcosa di diverso rispetto alla visione dicotomica di Serra. Meno timorosa verso l’ecosistema digitale.