lunedì 12 novembre 2012

Risorse [finanziarie] online

Il crowdfunding, ovvero la raccolta di risorse online, sta dando discreta prova nel sostenere il giornalismo di inchiesta, seppure con caratteristiche di nicchia e, peraltro, legato a esperienze straniere.
Lo stesso vale per il crowdfunding, inteso come reperimento di capitale rischio da destinare al sostegno di start up. Negli Usa il fenomeno – che nel 2011 ha interessato circa 350 iniziative per un totale di 1,5 miliardi di dollari – è regolato dal Jobs Act.

In Italia il decreto 2.0 introduce un analogo strumento, seppure limitato alle start up innovative. Gli investitori potranno finanziare l’attività d’impresa attraverso la raccolta di denaro online. Alla Consob spetterà la regolamentazione e  la creazione di tutele per i risparmiatori – ispirate alla trasparenza e al “ragionevole rischio" –.
Oltre alle mosse dell’autorità di vigilanza, da verificare come la cultura d’impresa e del risparmio accoglieranno il crowdfunding. I dubbi, visto le sparute attività che sono finanziate dai venture capitalist, sono numerosi e fondati. Ma sperare in un’inversione di tendenza è lecito, forse poco razionale.
Sul tema ho scritto in Input&Output, Finanziare l'impresa, dal crowdfunding al venture capital.

mercoledì 7 novembre 2012

Global warming


Le pagine pubblicate online dalla Nasa (qui) mostrano l'andamento del riscaldamento globale a partire dalla fine del XIX secolo. I “key indicators” indicano chiaramente un deciso rialzo delle temperature con i fenomeni conseguenti (innalzamento del livello dei mari, riduzione delle superficie ghiacciate).

Ottimo lavoro dell’ente spaziale Usa che dimostra ottime capacità di sintesi, oltre che abilità nel maneggiare i dati scientifici. Il prodotto – nell’organizzazione degli spazi, nell’uso della grafiche – è un esempio da seguire.

mercoledì 24 ottobre 2012

Burocrazia 2.0

Il decreto legge 2.0 si pone l’obiettivo di avviare un processo d’innovazione tecnologica in un paese dove il digital divide è un problema non solo economico, ma anche culturale. Le novità contenute sono potenzialmente interessanti, soprattutto per quanto riguarda il rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione. Le minacce al compimento e alla realizzazione del progetto – almeno parziale – sono drammaticamente note. Alcune sono politiche – il lavoro delle lobby nel procedimento di conversione in legge – altre sono burocratiche, che in questo caso prendono le vesti dei cosiddetti decreti di attuazione. Spesso rimandati a date imprecisate, seppure decisivi nel rendere attuabili i provvedimenti di legge.

Sullo sfondo, resta comunque il tema – che ripeto in continuazione – della formazione scolastica, pubblica, quella accessibile a tutti, a prescindere dal reddito. Io credo che senza la creazione di una massa di cittadini digitali, speranze di cambiamento non esistono.

Per quanto riguarda il mondo delle imprese, nel decreto fa la comparsa dell’azienda 2.0: un corpo di norme che dovrebbe aiutare la nascita e il consolidamento delle start up innovative. Alcune soluzioni adottate, come la ricerca di liquidità attraverso il crowd funding, sfiorano – a mio giudizio – la pura utopia. Inoltre l’ecosistema burocratico assume forme ancora più complesse con l’introduzione di nuovi istituti giuridici – dalla forma societaria al contratto di lavoro- . Sull’argomento consiglio di leggere le osservazioni di Arrigo Panato, qui e di Marichiara Marsella e Carlo Milani, “L’Italia poco digitale” (via lavoce.info)
Sul tema ho fatto un breve lavoro di sintesi, "Startup e Azienda 2.0, dubbi sul decreto per recuperare il ritardo digitale", in InputOutput.

lunedì 15 ottobre 2012

La Rete, gli italiani e le notizie

La sintesi (grazie a Vittorio Pasteris) della ricerca di Enrico Finzi - AstraRicerche sugli internauti italiani e l'uso delle notizie. Il lavoro è stato presentato l'11 ottobre in occasione del convegno "Il futuro del giornalismo" organizzato dall'Odg Lombardia..


Gli internauti italiani e le news from Vittorio Pasteris

Da leggere le analisi sull'indagine realizzate da Pierluca Santoro, qui, via Il Giornalaio. 

mercoledì 3 ottobre 2012

Oltre la siepe

(...) Compagni giornalisti avete troppa sete
e non sapete approfittare delle libertà che avete
avete ancora la libertà di pensare
ma quello non lo fate
e in cambio pretendete la libertà di scrivere
e di fotografare.
Immagini geniali e interessanti
di presidenti solidali e di mamme piangenti.
E in questa Italia piena di sgomento
come siete coraggiosi, voi che vi buttate
senza tremare un momento.
Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti
e si direbbe proprio compiaciuti.
Voi vi buttate sul disastro umano
col gusto della lacrima in primo piano.
Sì, vabbe', lo ammetto
la scomparsa dei fogli e della stampa
sarebbe forse una follia
ma io se fossi Dio
di fronte a tanta deficienza
non avrei certo la superstizione della democrazia (...)

(Se fossi Dio, Giorgio Gaber)

Emorragia quotidiana

Il decimo rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione (qui) certifica il progressivo calo dei lettori su carta. Nel 2012 è stato registrato un generale segno negativo pari al 2,3%. La disfatta – o meglio il cambio di abitudini – coinvolge tutti i fronti: free-press (- 11,8%, settimanali (- 1%). Anche l’editoria libraria si deve piegare a un – 6,5%, mentre - secondo il rapporto - solo i settimanali reggono (+ 1%).

La fuga dalla stampa è più marcata tra i più giovani, tra il 2011 e il 2012 i lettori di quotidiani di 14 - 29 anni sono diminuiti dal 35 al 33,6%, quelli di libri dal 68% al 57,9%. Informazioni e notizie passano su ambienti diversi, sul digitale, di cui il web rappresenta l’espressione più importante.

Secondo il Censis si sta affermando una tendenza alla personalizzazione dell’accesso alle fonti (attraverso la selezione delle reti amicali), con il rischio che si formi una sorta di “solipsismo di Internet”, ovvero la rete come generatrice di conformismo e auto-referenzialità. Di massa sarebbe da dire.

E’ corretta questa considerazione? Il tema del conformismo e dell’auto-referenzialità è decisamente applicabile agli attuali quotidiani. Quelli famosi, quelli si comprano alla mattina in edicola e puzzano di petrolio. Non pochi editoriali e articoli sembrano scritti per un publbico che esclude rigorosamente i lettori.
Ovviamente – figuriamoci – sono delle eccezioni. Sulla rete no, l’agire comune tende solo a mostrarsi belli, in gamba ed esperti.

martedì 18 settembre 2012

Twitter cambia il profilo

L'account personale di Twitter cambia. La novità più evidente riguarda l'uso della foto che diventa l'elemento distintivo e guida della pagina personale. La somiglianza con la timeline di Facebook è più evidente.
Un cambiamento che rende la piattaforma un po' meno media d'informazione e un po' più strumento per campagne di marketing e brand awareness (segnalazioni qui, via Huffington Post e qui via Digital Life).

Il vecchio profilo.


E il nuovo.


mercoledì 12 settembre 2012

25 a 1

Secondo i dati diffusi dalla Newspaper Association, nella prima metà del 2012 la raccolta pubblicitaria legata alla stampa ha registrato una perdita di 798 milioni di dollari. La risposta del digitale segna una crescita di 32 milioni. Dunque a ogni dollaro guadagnato online, corrispondono 25 dollari persi sulla carta (segnalazione qui, via Advertisement Journal).

lunedì 10 settembre 2012

Un corriere per i piccoli

  
First News è un giornale creato per un pubblico di lettori particolare: i bambini (segnalazione qui, via The Guardian). Scelta editoriale realizzata con un duplice obiettivo: presidiare un settore potenzialmente ricco circa la raccolta pubblicitaria e abituare le giovani generazioni alla lettura.

venerdì 7 settembre 2012

Un video blog per il WSJ

Si chiama WorldStream la nuova piattaforma realizzata dal Wall Street Journal. Giornalisti muniti di smartphone raccontano la realtà attraverso brevi video-clip. Un nuovo modo di fare informazione e per un lavoro dai connotati in rapida trasformazione (segnalazione qui, via Editors Weblog).

mercoledì 5 settembre 2012

Riflessioni di fine estate

La stagione che si avvia alla conclusione ha visto il succedersi di due eventi particolarmente significativi circa lo stato dell’informazione digitale nostrana.

Il 9 agosto è stata ufficializzata la vendita di Matrix – la società che controlla Virgilio.it – da Telecom a Libero.it. Nella mani di un solo proprietario si crea un unico player capace di performare oltre 15 milioni di utenti al mese.

Qualche giorno dopo Italia Oggi (qui e qui) riportava la notizia delle difficoltà economiche de Linkiesta: perdite per un milione di euro e conseguente necessità di aumento del capitale. Un prodotto di alta qualità – per il sottoscritto una delle migliori iniziative editoriali degli ultimi anni – che non è in grado di generare un equilibrio economico. Nel 2011 i costi sono stati di oltre un milione di euro (737mila per il personale), mentre gli incassi sono stati pari a 49mila euro dalla pubblicità, 10mila per la fornitura di servizi, 9mila euro dalle sottoscrizioni e 1.000 dalle donazioni.

La fusione Libero/Virgilio e le vicende del quotidiano all news meritano qualche osservazione.
1) Il mercato dell’online è attualmente ancorato ai grossi volumi di traffico, alla quantità. Le cause sono molteplici, io sono convinto che esista una scorretta valutazione delle reali potenzialità dell’advertising. In ogni caso “così è se vi pare”. Almeno fino a quanto esisterà la logica del Cpm “sotto-costo”.
2) Nel paese la creazione di una massa intelligente (nella definizione data dall’Economist) se è possibile non è capace di garantire introiti rilevanti.
3) E’ necessaria una riflessione – rapida e aderente alla situazione economica – sul contratto che definisce la professione giornalistica. Il mercato dell’informazione è composto da player diversi. I contratti applicati a chi produce contenuti sono molteplici: commercio, grafici, telecomunicazioni. Chi per onestà o perché costretto deve ricorrere al contratto giornalistico – decisamente più oneroso e meno adattabile alle esigenze di un’impresa – subisce uno svantaggio competitivo. Occorre cambiare, impostare nuove regole. Una direzione che non porta – se si vuole – alla rinuncia dei principi che caratterizzano la professione.
In ogni caso, le dinamiche economiche e tecnologiche stanno esiliando e mutando le vecchie norme contrattuali. Meglio farlo attraverso una collaborazione delle parti sociali, piuttosto che lasciare fare la mercato.

giovedì 9 agosto 2012

Virgilio è Libero

Telecom Italia ha dato comunicato ufficiale della vendita di Matrix (la società che controlla il portale Virgilio.it) a Libero.it, sulla base di un enterprise value di 88 milioni di euro.
Matx ITA
Libero Matrix CS IT90812 DEF

martedì 7 agosto 2012

La leggerezza dei 100 metri

Retrospettiva storica della competizione regina delle olimpiadi. Da Londra 2012 ad Atene 1896. Da Usain Bolt a Thomas Burke. Il lavoro realizzato dal New York Times (qui) si muove su tre piani: un video, un’info-grafica e una gallery. Il risultato finale coniuga semplicità e leggerezza, nonostante il notevole peso specifico informativo.


Curiosando tra record, risultati mi torna in mente ciò che ha scritto Italo Calvino sul tema della leggerezza del linguaggio (“Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio”), di cui riporto l’inizio del primo capitolo:
 Dedicherò la prima conferenza all'opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d'aver più cose da dire. Dopo quarant'anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l'ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio. In questa conferenza cercherò di spiegare - a me stesso e a voi - perché sono stato portato a considerare la leggerezza un valore anziché un difetto; (…)
Sottrazione come soluzione verso una maggiore efficienza. Una direzione per offrire al pubblico qualità, scansando l’info-obesità. Vale la pena provarci.

giovedì 2 agosto 2012

L’inversione dei Poli

Affidarsi a un colpo d’occhio, allo sguardo d’insieme non è saggio. Probabilmente neppure professionale. Ma ci sono eccezioni. Come la mappa pubblicata da Nielsen sulla distribuzione degli investimenti pubblicitari nelle diverse tipologie dei media, nei primi tre mesi del 2012, in confronto dello stesso periodo dello scorso anno (qui, il report di sintesi, via nielsenwire). 


Il capovolgimento è evidente. Le vecchie divisioni – che sopravvivono nell’immaginario occidentale – fra primo e terzo mondo, stanno perdendo progressivamente valore. L’andamento degli investimenti pubblicitari sono l’immagine della deriva dei continenti per quanto riguarda l’andamento delle economie. La rivoluzione dei media è tecnologica, ma pure fondata sulla nuova distribuzione - in corso - della ricchezza su scala mondiale.

lunedì 30 luglio 2012

Giornalismo, una crisi al buio

Tra gli interventi e i panel che si sono susseguiti in occasione di Dig.it (il primo incontro nazionale dedicato al giornalismo e all’editoria digitale in Italia), che ho potuto seguire grazia al lavoro di Lsdi, voglio segnalare l’intervento di Carola Frediani, redattrice di Effecinque.
L’agenzia giornalistica – costituita nella forma di cooperativa – punta in maniera decisa sull’innovazione del linguaggio giornalistico. Infografiche, storify, timeline: sperimentazioni, in corso d’opera, per intuire come la comunicazione possa prendere forma in un eco-sistema per ora ingovernabile e con dinamiche ancora sconosciute.

Sforzo intellettuale coraggioso, ma senza pensare a una "corsa all'oro". "Non mi sentirei di proporlo come modello di business", conclude Carola.



Onestà professionale, non proprio diffusa nel settore. L’impegno innovativo di Effecinque avviene nella consapevolezza che si tratta d’investimenti dall’alea molto alta e comunque di lungo periodo.
La mistificazione tecnologica, tout court, è inutile. E’ allo stesso livello dell’immobilismo.

Stessa linea, stessa onestà, delle conclusioni di Andie Tucher, direttore della Columbia Journalism School, in un intervento segnalato da Pierluca in un post dal titolo più che indicativo “Il dilemma del prigioniero” (via Il Giornalaio). La Tucher ammette di non avere idea di quale possa essere lo strumento alternativo ai modelli attuali del giornalismo, sempre più inadeguati. E scarica la responsabilità di trovare una soluzione - che possa far funzionare il sistema editoriale - ai propri studenti.
Tucher e Frediani sono due persone in trincea. Carola, però, sta dalla parte degli studenti, di chi ci prova. Probabilmente il settore – profondamente ristrutturato – prenderà forma dagli sforzi di realtà come Effecinque ed epigoni.

Il pezzo “occhiello/titolo/sommario/contenuto” occupa ancora il maggior tempo e lavoro nelle redazioni, mentre all'esterno le scosse digitali stanno smembrando la struttura, tanti atomi che si diffondono in rete. La tempesta è quasi perfetta: un prodotto obsoleto realizza i maggiori ricavi. Nonostante siano in deciso calo – strutturale, oltre che congiunturale – e nonostante all’orizzonte non ci sia alcuna scelta in grado di compensare realmente il ridimensionamento economico.
Non resta che tentare, provare, innovare. Strategie che hanno per forza bisogno di tempo, risorsa abbastanza scarsa nelle grandi realtà editoriali – soffocate, peraltro, da strutture gestionali inefficienti -.

mercoledì 25 luglio 2012

Storia senza memoria

Il senso della Storia traccia un percorso che sta i grandi eventi - invasioni, rivoluzioni, guerre - e i gesti quotidiani - amore e morte, riso e pianto -. Un mosaico, i cui tasselli sono per lo più documenti ufficiali e scritti storici. Il gradino inferiore - quello del vissuto - è stato rivalutato relativamente da poco, soprattutto per quanto riguarda l'evo antico, attraverso indagini archeologiche mirate e realizzate con tecnologie più efficienti.

I siti archeologici del futuro saranno anche i "le rovine" fondate sui bit. Città sommerse, non dall'oblio e dalla terra, ma tra i milioni di dati di un server di qualche azienda. Soluzione di continuità netta, il rischio di perdita del passato è sensibilmente maggiore rispetto alle parole e alle gesta impresse sulla materia fisica.

La memoria della Rete è indelebile. Nel breve periodo. Se la sguardo si spinge oltre qualche generazione, ho qualche dubbio circa la correttezza dell'affermazione.
Del rapporto tra la Storia scolpita sul marmo e quella incisa su una memoria virtuale, ho scritto su Voices, Twitter tra diplomazia e politica estera.

lunedì 23 luglio 2012

"Lotta di tasse", l'evasione fiscale può essere sconfitta

Ho appena finito di leggere il pamphlet di Francesco Delzìo "Lotta di tasse". Un bel lavoro - la cui lettura è altamente consigliata - che fotografa con dati ufficiali, l'iniqua distribuzione tributaria italiana. I risultati sono drammatici: la pressione fiscale - da record fra i paesi Ocse - è sostenuta quasi interamente dalle spalle del lavoro dipendente e del capitale.
Uno squilibrio sostenuto da un'evasione mostruosa - stimata attorno ai 180 miliardi di euro - che mina il patto sociale fondante di uno Stato e la sostenibilità economica dell'intero sistema produttivo. 

Senza interventi contro l'evasione - dice Delzìo - non può esserci né crescita, né ripresa. E' un obbligo morale contrastare il fenomeno, per avviare un processo di riduzione delle tasse sulla middle class e sulle imprese. Unica via per rilanciare i consumi.

Secondo l'autore, la profonda crisi in corso potrebbe dare il via una rivoluzione culturale. Decisiva. L'evasore è sempre meno considerato il furbo, lo scaltro da tollerare e imitare. Per chi paga le tasse, la maggioranza degli italiani, è un danno, una persona da escludere dal consesso sociale.

Delzìo propone tre misure per fondare un'efficace strategia di contrasto. 

1) Sospensione dell'attività o della professione nei confronti di chi per due volte consecutive non ha rilasciato fattura o scontrino.

2) Un sistema di pubblicità per indicare i soggetti colpiti da sanzioni tributarie per evasione fiscale, ma anche una specie di bollino blu per negozi o attività in regola. Un modo per trasformare l'onestà in strumento di marketing in grado di guidare i consumatori nelle scelte.

3) Esclusione sociale dell'evasore, mettendolo nelle condizioni di pagare le prestazionI di welfare (come la scuola) fornite dallo Stato (esclusi i servizi sanitari).

Proposte provocatorie? Inapplicabili? Sicuramente sì, se si ragiona secondo le metriche dell'Italia "sesso e gossip", modellate e plasmate a partire dagli anni '80. Purtroppo o per fortuna, i tempi sono cambiati e non è detto che, finalmente, si possa vivere in un paese "normale".

giovedì 19 luglio 2012

Paywall, questione di stampa

Con tendenziale successo, quotidiani come il Wall Street Journal e il New York Times hanno puntato sulla sottoscrizione a pagamento per l'accesso online. Scelta seguita da altri giornali, ma che non convince il Washington Post. La decisione è spiegata da Don Graham (qui, via Gigaom), Ceo e azionista di riferimento. Il motivo è legato alla diffusione su stampa, essenzialmente locale. 500mila lettori, contro un'audience online di 17 milioni di visitatori unici al mese.
Sbilamciamento che rende difficile perseguire una politica di paywall sullo stile del Nyt - fortemente legata alla versione cartacea -. Evidentemente si considera troppo alto il prezzo da pagare sul fronte degli investimenti provenienti dall'advertising.

La vicenda, seppure i contorni siano più complessi (minore propensione all'innovazione, caratterisitche del management), ha il sapore del paradosso. I soldi, online, si fanno a condizione di avere una solida base conficcata tra i fogli di carta. Convergenza e spinta verso il nuovo, senza gettare al vento e rinnegare le proprie origini.

martedì 17 luglio 2012

Cine-giornalismo. Dal basso

Un terzo dei video visti negli Usa su YouTube riguardano fatti, eventi: notizie. "A new kind of visual news" è la ricerca realizzata da Pew sulla diffusione e la produzione di quello che può essere definito come giornalismo visuale (per il report qui, via Techcrunch e qui, via Pew).
Un altro segnale di cambiamento della fruizione delle news. Le due cause motrici - note - sono: la disponibilità di strumenti hardware poco costosi e diffusi - necessari per le riprese - e la possibilità della pubblicazione online. 

Nel lavoro di Pew il risultato più evidente riguarda il terremoto in Giappone: 20 video sull'evento hanno generato 96 milioni di visite. Numeri impressionanti, che potrebbero consolidare la tesi sull'imminente fine dell'era Gutenberg, fondata su una cultura prevalentamente scritta. Conclusione azzardata, una provocazione.

Le evidenze della ricerca meritano una lettura e offrono punti di vista che l'uso quotidiano spesso mettono in secondo piano. A partire dalla lunghezza dei video. Mediamente la durata è di 2 minuti, per glii standard americani molto di più dei servizi trasmessi dalle Tv locali (media di 41 secondi) e un poco di meno rispetto a quelli prodotti dai network nazionali.

Il giornalismo di base prende forma e ruolo consistente su YouTube. Più di un terzo delle video-news sono realizzate da non professionisti.

I disastri naturali e gli eventi politici - elezioni, dibattiti e agitazioni - sono gli accadimenti che godono di maggiore copertura.

La maggioranza dei video sono editati - dunque montati, ripuliti, resi più efficienti - e ciò vale soprattutto per i contenuti professionali. Ma non mancano video "grezzi" (più di un terzo), pubblicati senza il filtro di un editor. Ovvero l'emotività dell'imperfezione che si trasforma in struttura - e forza - della narrazione dei fatti.

venerdì 13 luglio 2012

Mature worker e consumi editoriali


L'innalzamento dell'età per uscire dal lavoro è stata la strada principale percorsa dagli Stati per ridurre il debito. La tabella (pubblicata qui, via Washington Post) indica le misure degli interventi realizzati dalle maggiori economie internazionali.
Spicca la stretta sulla spesa previdenziale intrapresa dall'Italia, successiva alla riforma varata dal governo Monti e in vigore dal 1° gennaio 2012.

In futuro avremo una massa di persone obbligate al lavoro e con un reddito - seppure in regime di "costrizione" - a disposizione maggiore rispetto a quello erogato dall'assegno pensionistico. Come influirà questa variabile sul mercato editoriale? Una domanda che merita qualche riflessione.

mercoledì 11 luglio 2012

Notizie per analfabeti

L’analfabetismo diffuso – che parte dalla realtà analogica e punta diritto alla dimensione digitale – è il convitato di pietra degli incontri e dei dibattiti sullo stato dell’editoria italiana.

Ho trovato, per caso, un vecchio articolo, pubblicato su Italia2013. Riporta le considerazione del linguista Tullio De Mauro che per molto tempo ha condotto ricerche sull'analfabetismo funzionale, ecco cosa scrive: “soltanto il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”. E il resto della popolazione non sta meglio: il 5% di chi ha tra i 14 e i 63 anni non sa distinguere una lettera dall’altra o una cifra dall’altra, il 38% riesce a leggere con difficoltà quanto si tratta di singole scritte o cifre.
Post del 2010, ancora attuale.

L’analfabetismo è un male atavico. La diffusione degli strumenti di comunicazione digitale, dove la preparazione culturale si confonde a quella tecnologica (che, seppure semplificata, rimane una barriera d’accesso, soprattutto nell'uso consapevole), pone le basi – sono convinto – per un ulteriore amplificazione del fenomeno. 
Una risposta, per eludere il problema e dedicarsi al trastullo high-tech, potrebbe fare ricorso alle statistiche: aumentano gli accessi al web, cresce il consumo di notizie. Affermazioni ineccepibili nella forma, spesso vuote o poco significative nella sostanza.

L’uso tout court di tablet, computer e simili, cambia di poco il livello della formazione culturale. Sulle news, si è già detto e scritto: la quantità maggiore riguarda argomenti legati all'intrattenimento. E i registri narrativi sono decisamente elementari: uso limitato di vocaboli, sintassi semplice, telegrafica.
E’ possibile che questo sia il corso della Storia e il futuro costruirà un italiano “volgare” (o "digital-volgare"?), più povero, oppure semplicemente diverso rispetto all’attuale. Ho la sensazione che diversi fattori, socio-economici e politici, stiano creando i presupposti per un finale di questo tipo. Per il sottoscritto è un problema che mina – come più volte ho affermato – le fondamenta dello Stato democratico nella sua sostanza più profonda. Per gli editori c’è il rischio che si apra una lotta per la sopravvivenza che – contrariamente alla teoria sull’evoluzione della specie – faccia prevalere i peggiori.

martedì 3 luglio 2012

Twitter-diplomazia

Si chiama "E-Diplomacy Hub" la mappa interattiva che, attraverso i tweet, visualizza i rapporti tra Stati (qui la segnalazione, via Owni.eu). Lavoro complesso - la piattaforma a volte è lenta nelle risposte -, utilizzo non proprio immediato, ma comunque un segnale delle potenzialità informative e semantiche dei media sociali.
La realizzazione porta la firma di AFP (Agence France-Presse) e si basa sull'analisi di circa 4.000 account del settore: capi di Stato ministri, attivisti, Ong, lobbisti.


Sono disponibili diverse modalità d'uso. La funzione "Map" permette di visualizzare i rapporti diplomatici fra due Stati (a scelta), compresi gli hashtag più popolari. "People" e "Countries" indicano il ranking sul grado d'influenza, almeno a livello digitale (con rappresentazioni fedeli rispetto all'effettiva realtà). "Hot Spots" segue la diffusione geografica di una parola chiave. Infine "Links" e "Conflicts" danno informazioni, rispettivamente, su chi segue un determinato account e sulle tensioni internazionali in corso. 

E-Diplomacy è uno strumento che crea un eco-sistema d'informazione, ovvero un ambiente che sta un poco  sopra la fonte, il documento, ma senza l'intervento, l'elaborazione e la verifica ha capacità limitate di costruzione del senso.

La mappa rende i tweet materiale per costruire e interpretare la Storia. Un po' di tempo fa, segnalai l'opera di uno storico inglese, Ward Perkins Bryan, sulla fine del impero romano basata sull'esame dei cocci di vasellame (La caduta di Roma e la fine della civiltà”).
Ai cocci di ceramica e terracotta, si sono aggiunte le tracce digitali.

mercoledì 27 giugno 2012

Giornalismo del dubbio

Il dibattito sullo stato dell’editoria e dell’informazione, soprattutto grazie a preziosi post di Pierluca (Il Giornalaio, qui e qui), continua a offrire spunti per comprendere la complessità del nuovo pubblico, sospeso tra le piattaforme digitali e il legame appiccicoso ai media tradizionali. Un punto di partenza – tendenzialmente poco considerato – per creare strategie che possano aspirare alla sostenibilità economica.
I passaggi che invito a leggere (o a rileggere per chi non l’avesse ancora fatto) sono: l’articolo pubblicato sul sito della fondazione ahref (Come evolve il concetto di qualità nell’informazione), Giuseppe Granieri (Le tendenze che stanno ridisegnando il giornalismo) e Pierluca Santoro (La massa intelligente funziona e Rapporto 2012 sull’industria dei quotidiani).
Il recinto dentro il quale ha preso forma la discussione si è fissato – sinteticamente – lungo tre assi: la necessità di re-inventare i contenuti di qualità, il formarsi di una nuova professionalità (dell’editore e del giornalista/autore), l’individuazione di un pubblico (con alta propensione alla spesa o in grado di attrarre investimenti pubblicitari) e, per l’Italia, lo stato dell’informazione (diffusione, readership, audience, pagine viste).

I confini, così tracciati, sono variabili, adattabili e modificabili in funzione delle definizioni di partenza (cos'è la qualità? Chi sono i lettori di un giornale? Quanto pesa la diffusione?), condizione che, peraltro, anziché generare ulteriore confusione, potenzialmente apre il campo all'intuizione, spesso decisiva nelle scelte industriali.
I numeri, il consumo delle notizie, così diverso rispetto a soli pochi anni fa, seppure aumentato nell’intensità, obbligano, dunque, a un ripensamento. Che deve partire dalle risposte alle seguenti domande.

1) In Italia esiste un mercato per il giornalismo di qualità? Questione fondamentale. Alzare o abbassare il livello qualitativo di una testata, di un sito, di un magazine varia a seconda delle risposta. Se si prendono per buoni i dati sul crescente analfabetismo di ritorno e sulla forbice allargata tra utenti online e quelli sui siti dei quotidiani (come emerge dal Rapporto 2012 della Fieg), si potrebbe dire che nel nostro paese non c’è un mercato editoriale di quel tipo. O meglio, la capacità produttiva (seppure inespressa, in parte) supera, notevolmente, la domanda. L’infobesità, che è poi infotainment, prende direttamente origine da un panorama caratterizzato da una debole densità culturale.

2) La ricerca di una massa intelligente (sull’esempio dell’Economist, qui) è un percorso realizzabile per un editore italiano? La rivista inglese, oltre a offrire prodotti verticali, ha una distribuzione mondiale. Un’utenza di nicchia, ma quantitativamente notevole. Condizioni a cui si aggiunge l’accurato lavoro sui piani delle convergenza editoriale e dello sviluppo tecnologico. L’orizzonte peninsulare è decisamente più stretto e una massa intelligente è individuabile solo come somma delle utenze suddivise tra testate e diverse piattaforme. Esistono nicchie in grado di generare ricavi e ci sono editori verticali che si stanno muovendo con abilità, ma le potenzialità di crescita sono oggettivamente limitate. Il lavoro “intelligente” per costruire la massa “intelligente” italiana non può che passare attraverso la costruzione di network editoriali. Collaborazioni, almeno sul piano dell’offerta, per formare un pubblico meno dipendente dalle mosse (e dai profitti) dei player che non producono contenuti.

3) Quale sarà il futuro per la professione giornalistica? Già in altre occasioni ho affermato che la transazione non aprirà – almeno nel breve medio periodo – le porte a un’età dell’oro. C’è un’indubbia dose di mistificazione – e tanto ottimismo -, quando si sostiene che questo è il periodo migliore per fare il giornalista (salvo che non lo si consideri come un secondo lavoro o un hobby). La realtà sarà segnata da profonde ristrutturazioni industriali e personali (nel senso delle modalità di lavoro e delle conoscenze necessarie). Un segnale evidente - in corso da tempo - è la disgregazione dell’ordine giuridico. Redattori, editor, autori sono per la maggioranza inquadrati in contratti estranei a quello che fanno: dalle telecomunicazioni, ai grafici-editoriali, fino al commercio. E’ un adattamento economico che sta esautorando l’Ordine e il relativo contratto. Finale già scritto – ma non si dice –: ci sarà un pacchetto di norme e di regole in fase con la filiera industriale e con le sue capacità di generare profitto. Condizione quest’ultima – fatti salvi i diritti fondamentali di libertà d’espressione – preferibile all'attuale diffusa ipocrisia, dove gli inclusi – sotto contratto, ma spesso lontani dal cambiamento digitale – sono opposti agli esclusi, tendenzialmente preparati, malpagati, scarsamente tutelati.

lunedì 25 giugno 2012

Eurocrisi

La pagina pubblicata dal New York Times, sulla crisi che sta coinvolgendo l'area euro, rappresenta un esempio di equilibrio fra testo e grafici (qui). Un lavoro di sintesi ad alta capacità informativa, realizzato attraverso un registro divulgativo, ma accurato.

Per quanto riguarda il contenuto, preoccupante la condizione del mercato del lavoro con tassi di disoccupazione in Grecia e Spagna simili a quelli riscontrati durante la Grande Depressione del 1929.


In Italia la percentuale dei disoccupati si attesta attorno al 10% (aprile 2012), percentuale destinata a peggiorare a causa delle performance economiche. Il prodotto interno lordo, per l'anno in corso, sarà tra i peggiori del continente (- 1,9%), dopo quelli del Portogallo (- 3,3%) e della Grecia (- 4,8%).



giovedì 21 giugno 2012

Social fact checking

Verifica dei fatti attraverso le piattaforme sociali. Lo studio di Oriella Pr Network, che ha coinvolto più di 600 giornalisti di tutti il mondo, indica un ulteriore aspetto di quella complessa realtà che per comodità chiamiamo web 2.0 (qui la segnalazione via journalism.co.uk).

Il 53% degli intervistati (nel Regno Unito si arriva al 75%) afferma di usare le notizie "sociali" provenienti da fonti conosciute. Con un bel ridimensionamento al giornalismo di base, sopratutto a quello d'improvvisazione. La dimensione digitale non ha rotto i ponti con la realtà.  E la convergenza - auspicata a livello editoriale - sembra essere già un tavolo di lavoro per la produzione dei contenuti.

L'indagine mostra quanto sia difficile - e sicuramente inutile - trovare una definizione all'ambiente social. L'interazione tra account/utenti, la costruzione di reti amicali, assolvono compiti diversi, in funzione a variabili personali o di gruppi sociali.
Un ecosistema non solo informativo, dove c'è posto per la produzione e la lettura di contenuti, ma c'è e si fa dell'altro. Il mercato mette insieme ortaggi e verdure - nespole e albicocche, insalata e pomodori -, gli acquisti sono determinati dal reddito, dal livello d'istruzione (sì anche delle verdure) dallo stato d'animo del momento. Lì, in mezzo ci stanno anche notizie, tra le patate. 


martedì 19 giugno 2012

L'Huffington diventa un magazine

Dunque anche l'Huffington Post si converte. A New York è stato presentato un magazine per iPad, a pagamento (qui la segnalazione, via Mathew Ingram, Gigaom). La rivista ha cadenza settimanale - raccoglie i pezzi migliori - e costa 99 centesimi, 19,99 dollari l'abbonamento annuale.
L'iniziativa vuole presidiare uno spazio di mercato - quello del consumo di news in mobilità - previsto in crescita. Peraltro la scelta, così come è stata concepita e realizzata, ha costi marginali relativamente bassi.

Il modello Huffingotn mostra il lato peggiore dell'informazione online, nel ricorso sistematico allo sfruttamento dell'economia della gratitudine (sull'argomento il bel post di Lelio Simi Giornalismo imprenditoriale. Dove ci porta il “modello” Forbes?). Ma va riconosciuta una spiccata abilità nel muoversi tra le opportunità che offre la tecnologia. Giornalismo dal basso, tablet, online, social media sono percorsi a tema da cui trarre (o almeno provarci) profitto. Qualche applauso va riconosciuto, senza dimenticare una domanda. Essenziale. Quanto reggerebbe un simile modello in assenza di editori che pagano i contenuti?

venerdì 15 giugno 2012

Istruzione e infrastrutture


I dati Eurostat disegnano un paese segnato dall'analfabetismo informatico. Numeri e percentuali che tracciano una distanza sensibile tra il racconto mediatico sul digitale e la realtà.
Credere che la diffusione della tecnologia sia legata unicamente a investimenti pubblici o misure legislative è fuorviante e, nello stesso tempo, pericoloso.

Senza un'adeguata organizzazione dell'istruzione in grado di formare un sistema di incentivi comportamentali - aperti verso l'innovazione -, decreti e norme potrebbero creare unicamente ulteriori barriere sociali, senza sviluppo e occupazione.
Su Voices ho scritto un pezzo - con numeri e dati - sullo stato dell'arte dell'informatizzazione italiana: "Digital divide. I due pilastri del recupero: istruzione e infrastrutture".

mercoledì 13 giugno 2012

Informazione e giornalismo

Sto seguendo con attenzione il dibattito sulla qualità dell’informazione (qui, via Fondazione Ahref). Un incrocio d’idee che offre spunti di riflessione e indica possibili percorsi da testare.

Per correttezza, premetto che le mie opinioni sono fortemente influenzate dal fatto di lavorare in un portale di massa (circa tre milioni di utenti unici al giorno), dunque con le mani spesso fra la pancia della gente, quella che si potrebbe chiamare "maggioranza silenziosa".

Detto questo, io traccerei una linea di demarcazione tra informazione e giornalismo. Sono realtà diverse, che s'intrecciano, ma nascono e si sviluppano su piani differenti. Azzardando alcune definizioni. L'informazione è descrizione dei fatti, della realtà. Il giornalismo è interpretazione dell’accaduto e delle dinamiche fattuali.

Molti media (o parte di essi) fanno semplicemente informazione. Descrizione di successione di fatti dentro un determinato limite temporale. La questione della qualità esiste anche in questo caso, ma non può prescindere dal pubblico di riferimento e dal modello di business a cui l'organizzazione tende, che è fortemente connesso alla quantità.
Un simile palcoscenico non esclude la verifica, la produzione di contenuto valido. Nei casi più virtuosi si selezionano filiere di fonti considerate attendibili (l'agenzia, il blog, il feed di tweet). Attività, però, che presentano una sottile, ma marcata, differenza rispetto al fact checking.

Controllo dei fatti che rientra con prepotenza, nella professione del giornalista. La qualità assume dei contorni più corposi e impegnativi. L'interpretazione della realtà richiede sforzi che vanno dall'uso delle nuove tecnologie al ricorso delle modalità più tradizionali (telefonate, incontro con testimoni, ricerca documenti).
Un lavoro costoso che porta alla questione di fondo: quanto è sostenibile economicamente? come rendo il contenuto in fase con i lettori/utenti? In altre parole: quale forma dare al modello di business?

Il mix informazione/giornalismo resterà l'asse fondamentale dei quotidiani generalisti, anche se prevedo - soprattutto sul digitale online - uno schiacciamento sempre più insistito sull'infotainment. Almeno fino a quando reggerà il modello Cpm.
Per chi fa il giornalista non è una buona notizia. Nel breve medio-periodo per questa professione non vedo grandi opportunità (se per opportunità s’intende il giusto equilibrio fra passione/lavoro/guadagno). Nel futuro s’intravedono sul digitale in mobilità, nell'orizzonte disegnato dalle applicazioni, spazi più promettenti.
A condizione che gli editori riescano svincolarsi dai player esogeni (Google e Apple, per fare un esempio) e creino “nicchie di massa verticali”, disposte a pagare per una buona lettura.

Qualche tempo fa si diceva che il giornale si stesse trasformando in un’applicazione. Con tutta probabilità il cambiamento sarà più complesso: la testata diventerà un brand, un contenitore per applicazioni verticali.

martedì 12 giugno 2012

Mobilità senza una gamba

Le previsioni di rapida crescita dei dispositivi mobili si avverano. La spesa per navigare sul web dai cellulari è cresciuta nel 2011 del 52%, per una somma complessiva di 800 milioni di euro . Mentre il mercato delle applicazioni ha raddoppiato il proprio valore, portandosi alla quota di 75 milioni (qui, via Corriere.it).
I dati della ricerca (che porta la firma dell'Osservatorio mobile internet del Politecnico di Milano) evidenziano il rafforzamento del contenitore "mobile economy".

I beneficiari del business in mobilità sono diversi rispetto alla realtà analogica e del web anni '90. L'asse stampa-pubblicità è ulteriormente indebolito e contemporaneamente è messo sotto osservazione il sistema dell'advertising online. Il recente lavoro Internet Trends, realizzato da Mary Meeker, presenta una tabella significativa. I risultati mostrano, per il mercato della pubblicità mobile, un mancato guadagno pari a 20 miliardi dollari.


Come scrive Jean-Louis Gassée (qui, via Monday Note) il nuovo ambiente, a partire dal supporto fisico, i monitor sono più piccoli, ha colto impreparati gli operatori ed è necessario del tempo per la produzione di advertising in fase con i dispositivi.

E' in corso un travaso digitale. Verso la mobilità, con due variabili aggiuntive a carico degli editori. La prima - teoricamente - è positiva. Un fiorente mercato delle app potrebbe sostenere una maggiore diffusione delle testate e alimentare la propensione al pagamento. La pessima notizia è rappresentata dalla scarsa penetrazione della pubblicità. Nemesi che rischia di sgretolare uno dei tre famosi pilastri su cui si regge l'editoria. Da verificare se il tasso di cambio, ovvero il passaggio alle sottoscrizioni sarà in grado di sostenere economicamente il cambiamento. I dati attuali indicano una risposta negativa.
Il passaggio generazionale, probabilmente lento per quanto riguarda l'Italia, nella direzione carta >>> online >>> dispositivi mobili, contiene un seme con i geni del passato: la vendita del quotidiano/app, meno la pubblicità.

giovedì 7 giugno 2012

Innovare stanca

Il digital divide e la bassa diffusione della banda larga gravano sul prodotto interno lordo (Pil) per una percentuale tra l’1 e l’1,5%. La denuncia risale agli inizi di maggio, porta la firma di Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le Garanzie sulle Comunicazioni (Agcom). Ennesimo avviso al paese.

Il Pil non è l’assoluto indicatore della ricchezza e del benessere di una nazione. Tuttavia, per ora, su questo misuratore sono elaborate le strategie economiche e la correlazione tra bassa crescita e disoccupazione è innegabile. Dunque, l’innovazione come fattore di sviluppo e strumento per la creazione di lavoro è un passaggio logico più che fondato.

Le indagini per individuare i responsabili del digital divide, indicano nella carenza di infrastrutture il principale sospettato. Non a torto. Scarsi e inadeguati sono gli investimenti per connettere in maniera efficiente il paese. Ma ci sono altri responsabili, correi del ritardo tecnologico. L’immobilismo non è solamente figlio di una politica poco lungimirante. In realtà è direttamente proporzionale a una domanda d’innovazione debole. Aziende e cittadini sono poco affascinati dalle tecnologie che stanno fuori dal perimetro segnato da cellulari e smartphone.
I caselli autostradali sono un barometro. Empirico, scientificamente approssimativo, eppure significativo. Le file d’auto sono rigorosamente concentrate dove si paga in contanti, mentre telepass e pagamenti elettronici (viacard, bancomat, carta di credito) sono poco utilizzati.

Innovare stanca”. Soprattutto se non è compreso il valore. Un’indagine di marzo del Politecnico di Milano ha rilevato che solo il 50,5% delle persone è propenso a usare canali elettronici per pagare le imposte comunali (la sindrome da casello autostradale) e solo il 29,4% ha un’elevata propensione all’interazione online con la pubblica amministrazione. Le imprese si attestano sulla stessa linea di comportamento. Solo un’azienda su cinque utilizza lo sportello per i pagamenti online, mentre il 48,4% preferisce le banche.

L’inchiesta sull'arretratezza tecnologica non può trascurare la scuola, quella pubblica, alla quale è richiesto il compito di creare quel brodo primordiale funzionale al desiderio di cambiare, di innovare. Servono programmi educativi meno fondati sul passato e più orientati alla formazione di cittadini in grado di affrontare sfide del futuro. Il legame di continuità tra scuola e realtà produttiva è spesso. Una scuola poco aperta alla tecnologia non può non avere conseguenze tra le mura delle aziende.

Con questo non si negano altri problemi strutturali. La polverizzazione del tessuto produttivo in piccole imprese, la bassa patrimonializzazione, il difficile e costoso accesso al credito sono fattori decisivi nel frenare lo sviluppo. Ma la spinta generata dall’innovazione analogica – quella che arriva dalla creatività di lavoratori e imprenditori – potrebbe agevolare la soluzione dei problemi e fondare i presupposti per una maggiore competitività. Innovazione generata dal basso che stimola e sollecita interventi keynesiani alla creazione di una Rete italiana efficiente e veloce.

Una parte importante per fondare una cultura del cambiamento competitivo, oltre che dalla scuola, deve arrivare dall'impresa. Qualche giorno fa il Wall Street Journal ha dato notizia (qui) della pubblicazione di iQ, una piattaforma digitale realizzata da Intel. E’ un sito che si rivolge all’esterno, a un pubblico giovane. I contenuti sono prodotti dalla redazione oppure sono aggregati quelli condivisi dai dipendenti. IQ agisce non solo sul piano della diffusione del brand, ma diventa una finestra di sincronizzazione ai gusti dei potenziali consumatori.


L’iniziativa di Intel è abbastanza complessa. L’impresa ha dimensioni e possibilità economiche non paragonabili a quelle delle Pmi italiane. Lo stesso settore si presta a una comunicazione fortemente consumer e friendly. Ma sotto i bit colorati è possibile individuare un approccio extrapolabile anche nelle realtà più piccole. IQ rende i lavoratori, la filiera produttiva, un centro d’informazione e di relazione extra aziendale.

Apertura all’esterno, uso di strumenti digitali (nonostante spesso siano rubricati nella sezione “perditempo”) sono passaggi importanti per formare una un ambiente in azienda ben disposto verso le tecnologie digitali. Queste azioni possono creare una massa critica in grado sollecitare - con maggiore forza contrattuale - la richiesta di investimenti tecnologici e di rinnovamento. Il digital divide non è un affare solo per il governo, ma dell’intera società.

mercoledì 6 giugno 2012

Tweet button

Le social toolbar funzionano? Nieman Journalism Lab segnala (qui) uno script (realizzato da Luigi Montanez) che consente di mappare la percentuale di tweet generati dal pulsante di condivisione. Una parziale risposta alla domanda iniziale.


Come si vede dalla tabella, sono i siti che trattano argomenti politici a beneficiare del pulsante. Probabilmente pesa il coinvolgimento emotivo generato dalle prossime elezioni presidenziali (gran parte della ricerca fa riferimento a testate Usa).

Senza considerare la toolbar, per quanto riguarda l'Italia, in media il traffico verso il sito da Twitter raggiunge a stento il 2%. Una percentuale trascurabile. Almeno per chi intende la piattaforma come generatore di traffico. Equivoco su cui si fondano parecchi insuccessi. Miopia forgiata dal Cpm. Dominus, nonostante le critiche, delle strategie editoriali.

Twitter è un canale d'informazione, di comunicazione, fondato sul meccanismo della condivisione, ma chiuso. Le notizie circolano e si diffondono per via orizzontale. Un segno tipico dell'ecostistema digitale che privilegia la superficie, piuttosto che l'approfondimento. Un ambiente che da ottimi risultati nella costruzione di "nodi" ad alta autorevolezza (siano essi persone fisiche, aziende o testate). Le strade per fare un click sono altre.

lunedì 4 giugno 2012

Il credito dell'innovazione

La tecno-fobia delle Pmi - indotta dalla frammentazione, connaturata all'atteggiamento culturale - è parte del ritardo tecnologico del paese. A ciò si associa la carenza delle infrastrutture, alimentata, peraltro, da una timida domanda. Inoltre la stretta sul credito rende difficile intraprendere politiche d'investimento. Accesso ai finanziamenti che, nei primi mesi del 2012, è peggiorato per le piccole imprese.
Dunque sarebbe necessario innovare, ma mancano i soldi. Palcoscenico produttivo percosso da forze centrifughe che potrebbero lasciare nudi attori e spettatori.
Su questa contraddizione - che è poi la storia della crisi iniziata nel 2008 - ho scritto un pezzo, Gli investimenti in tecnologia possono rilanciare l’economia, se si allenta la stretta del credito (via InputOutput).

venerdì 1 giugno 2012

Applicazioni verticali

La presentazione realizzata da Mary Meeker, venture capitalist statunitense, sulle modalità d'uso e sullo sviluppo di Internet mette in un mostra qualche spunto di riflessione.
La questione centrale, che emerge dal lavoro, punta diritto sulla distribuzione del messaggio pubblicitario fra i diversi media.


Come indica la tabella, mentre per Internet si è colmata la distanza tra tempo speso e investimenti, resta sensibile il differenziale per la carta stampata.
Pierluca (a cui rimando per un'analisi più accurata: Questione di Arpu, via il Giornalaio) consiglia di non trarre conclusioni troppo affrettate: il gap tra tempo e pubblicità mette in evidenza ulteriori perplessità sull'efficacia dell'advertising.

C'è un altro passaggio della presentazione che merita attenzione. Riguarda la crescita delle piattaforme mobili e la composizione dei ricavi.


Il grafico mostra dove stanno i soldi. Le revenue sono concentrate nel mercato delle applicazioni. Dati, seppure relativi agli Usa, da incrociare cone le previsioni stilate per l'Italia dall'Osservatorio New Media del Politecnico: i prossimi anni saranno caratterizzati da una crescita sostenuta del mobile, dai tablet agli smartphone.

Gli editori hanno dinnanzi una nuova, ulteriore, rivoluzione che si sviluppa sulla direttiva mobile-applicazioni. Adattamento e cambiamento, mentre sono in corso quelle connesse al modello "desktop", fatto di page views e Cpm. E anche in questa occasione altri player non editoriali - Google, Apple, la comunità degli sviluppatori - sono in posizione di forza e in grado di fissare le regole del gioco.

Un contesto dove probabilmente non esiste un'unica strategia. Lettori e computer sono diventati qualcosa di diverso, non solo rispetto al passato analogico, ma pure rispetto all'altra Internet.
Un concept, come base di partenza su cui mettere a punto delle risposte, è quello, già più volte ribadito su questo blog, di valorizzare il patrimonio editoriale, testuale/video/fotografico, per poi creare app verticali (meteo, finanza, moda). Il software come amalgama del contenuto e mezzo che dona ad esso nuova vita. All'approccio generalista - ovvero l'intero giornale portato su queste piattaforme - non credo molto, nonostante gli abbonamenti siano in grado tamponare le perdite della carta. I tablet sono mosaici e gli strumenti di comunicazione contenuti sono tasselli, ognuno con un colore diverso.

mercoledì 23 maggio 2012

Scale immobili

Dal Guardian un articolo, con relativo grafico, sulla dinamica sociale nel Regno Unito (qui). Il titolo è eloquente: "i grafici della vergogna". Sono dati che scolpiscono una società britannica tendenzialmente immobile: il reddito e la condizione della famiglia influenzano in maniera determinante il futuro dei figli.
L'Italia non è in una condizione migliore, la mobilità è tra le più basse d'Europa (Mi manda papà, via Lavoce).


Nel grafico realizzato dal Guardian c'è una tabella per riflettere e farne il perno su cui impostare politiche di crescita (reale).


Il rapporto tra disuguaglianza e immobilismo è direttamente proporzionale. E, come si può vedere, l'Italia occupa le prime posizioni sull'asse delle disuguaglianze (accise) a cui corrisponde una debole dinamica sociale (ordinate). Dunque la "vergogna" inglese è anche italiana. Eppure mancano - sulla scuola, sulle professioni - riforme in grado di invertire la tendenza. Miopia politica, tenacemente appiccicata al passato, e ipoteca sul futuro. Solo una società dove i figli stanno meglio dei genitori è in grado di generare crescita. Economica e civile.

[AGGIORNAMENTO]. Su Lavoce il commento del Rapporto Istat 2012 sulla mobilità sociale in Italia (Mobilità sociale: in Italia è ferma). I dati confermano che sempre più giovani sono collocati in una classe sociale più bassa di quella dei genitori. Un fenomeno accompagnato da due fattori estremamente negativi:
- accentuata influenza della provenienza familiare,
- posizioni lavorative non corrispondenti al livello d'istruzione. Con conseguente dispersione del capitale umano e di conoscenze.

lunedì 21 maggio 2012

Internet in frenata

La recessione continua a presentare un conto salato al mercato pubblicitario. Nel primo trimestre del 2012 si conferma la flessione della raccolta: complessivamente le aziende hanno diminuito gli investimenti in advertising del 7,5% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente (qui, via Prima Comunicazione). In sofferenza tutti i media, con una novità rispetto al passato. Negativa. La crescita di internet rallenta, ovvero + 8,5% rispetto ai primi tre mesi del 2011. Mentre l'anno precedente si era chiuso con un + 12,5%, con performance che avevano toccato il + 15% (maggio, in confronto al 2010).

La causa endogena è rintracciabile in una polverizzazione dell'offerta sempre più spinta, a cui si aggiunge il passaggio e l'elaborazione verso metriche di misurazione del messaggio pubblicitario più aderenti all'effettiva diffusione. L'altro motivo è esogeno. Si tratta della la crisi economica che sta mostrando, in questi mesi, gli effetti peggiori (in termini di prodotto interno loro e occupazione). Con una differenza rispetto al 2008: la contrazione interessa i consumi interni, mentre quattro anni fa le difficoltà maggiori riguardavano le esportazioni. Scarsa propensione alla spesa, poca fiducia tra imprese e consumatori, difficoltà all'accesso al credito: fenomeni che non possono non influire sugli investimenti pubblicitari, anche su quelli tendenzialmente low cost delle piattaforme digitali.

venerdì 18 maggio 2012

Empatia d'azienda


Gli spazi sociali spingono le organizzazioni - sopratutto quelle più innovative - alla sperimentazione di nuove forme di comunicazione. Passaggi verso l'editoria diffusa, con scopi sfaccettati, compresi fra la customer care e la brand awarness. Oltre ai prodotti e ai servizi: le aziende diventano anche centri d'informazione.
E' il caso - segnalato qui dal Wall Strett Journal - della piattaforma IQ di Intel: un luogo dove si producono e si aggregano contenuti.

Il filo conduttore del sito è la tecnologia, il pubblico di riferimento - nelle intenzioni -, i giovani. Il prodotto è confezionato con lo scopo di creare empatia tra Intel e i possibili clienti. Sulla piattaforma sono aggregati i pezzi condivisi dai dipendenti stessi. E un'iniziativa che consente di mappare la sintonia con l'esterno, in maniera più efficiente e discreta rispetto ai fuorvianti sondaggi sulla percezione pubblica delle imprese.
Dunque IQ non solo agisce sul piano della diffusione del marchio, ma svolge - almeno potenzialmente - un esercizio di adattamento ai gusti dei consumatori. Con uno strumento extra-aziendale - la condivisione di contenuti editoriali -, ma non per questo meno efficiente nella creazione di una cultura aziendale meno chiusa e più aperta.

mercoledì 16 maggio 2012

La guerra d'Europa

Mille anni di storia visualizzati in due video (uno più lungo, l'altro in versione accelerata) realizzati utilizzando il software Centennia Historical Atlas (segnalazione qui, via The Atlantic).
La versione estesa (11 minuti).



E la versione accelerata (3 minuti).



L'effetto finale, decisamente affascinante e per me coinvolgente, conferma la fine del monopolio - come strumento di narrazione e racconto - della parola scritta. Si è formato (o si sta formando) un mosaico narrante d'immagini (in movimento o statiche). Un cambiamento trasversale a ogni supporto - analogico e digitale - che sembra confermare la prossima conclusione dell'età del testo. Si chiude la parentesi di Gutenberg.

Inevitabile una chiosa storica sul contenuto dei video. I colori che cambiano, i confini dinamici portano l'imprinting della guerra. Mille anni di battaglie. Il rifiuto della moneta unica e il ripudio del processo di integrazione europea potrebbero avere conseguenze negative non solo dal punto di visto economico.

[AGGIORNAMENTO] Ieri dopo l'embedded, i video sono stati rimossi da YouTube per violazione del diritto d'autore. In un primo momento ho pensato di eliminare il post, poi ho deciso di lasciare gli spazi vuoti, visto che le mie conclusioni sulle nuove modalità di narrazione e sull'integrazione europea, come garanzia di pace fra i popoli restano valide. Per farmi perdonare propongo un video simile - questa volta open source - che abbraccia un periodo di tempo più breve: dalla Rivoluzione francese a oggi.

martedì 15 maggio 2012

Conoscenza per processo

Le slide di Pew sulla diffusione e sulla distribuzione del sapere offrono uno spaccato dei cambiamenti in atto nell'economia editoriale e nelle modalità di apprendimento e fruizione.

lunedì 14 maggio 2012

Tv sola al comando

Secondo Nielsen (qui), negli Usa la televisione resta saldamente al centro degli investimenti pubblicitari. Nel 2001 c'è stata una crescita del 4,5%, per una spesa totale di 72 miliardi di dollari. Giornali e riviste si sono fermati a 28 miliardi (12 per i quotidiani, 16 per le riviste). Segue a distanza internet con 6 miliardi di dollari.

Sempre secondo Nielsen (qui) ciascuno americano guarda video in media per cinque ore al giorno e il 98% lo fa attraverso un schermo televisivo.


I risultati confermano come non si possa prescindere da strategie editoriali fondate sulla convergenza. Il vecchio modello di business è in declino - almeno per la carta stampata -, ma resta essenziale per la sopravvivenza dell'ecosistema dell'informazione.

mercoledì 9 maggio 2012

Fotogallery

Secondo The Atlantic Wire, il presidente del Washington Post, Steve Hills, avrebbe esortato a un maggiore uso di slideshow (qui). Scopo: generare traffico, la materia prima della raccolta pubblicitaria online.
Parole apparentemente in contro tendenza, visto che l'advertising sta lentamente cambiando le proprie coordinate. Dalle page view all'utente unico e con spinte verso sistemi di rilevazione tendenzialmente simili a quelli usati in campo televisivo, più sensibili al contenuto di qualità (o almeno più selettivi sul copia e incolla).

Movimenti che non cancelleranno l'importanza dell'elemento quantitativo. L'audience è fatta da numeri, da moltitudini (non importa se verticali e relativamente piccole). L'esortazione di Hills non è fuori tempo massimo. Le critiche non riguardano il fine, ma piuttosto vanno orientate verso il mezzo: le gallery. Tema trattano da Alexis Madrigal, "The pernicious myth that slideshows drive traffic", il cui pensiero è sintetizzato nel sommario: "readers aren't stupid. They know when your product is cheap".

Le fotogallery sono un facile mezzo, con costi marginali esigui, per generare numeri, quantità. Ma il prezzo da pagare è salato: scarsa fidelizzazione. Click veloci, rapidi. Poi l'utente scappa.
Le foto come generatore di traffico hanno il fiato corto. Nel medio-lungo periodo sono poco incisive nel raddrizzare il conto economico. E rappresentano un freno all'innovazione tecnologica e sopratutto analogica dei contenuti.

martedì 8 maggio 2012

Facebookmentario: timeline e lettore attivo

Le applicazioni dei giornali su Facebook piacciono di meno. Lo segnala Pierluca - "Il declino dei social readers", via Il Giornalaio -, evidenziando un netto calo degli utenti attivi (sopratutto su base mese).
Esiti possibili: sono sperimentazioni che si muovono in ambienti nuovi, animati da dinamiche ancora sfocate.

Tra le cause del repetino disinnamoramento, l'overload di app e la comparsa dei trending articles. A cui aggiungerei  l'uso inappropriato del prodotto.
L'utente di Facebook non è solo lettore. E' pure conversazione. Agisce, partecipa. Le app si muovono in direzione opposta, il giornale sembra infilato con forza nei recinti della piattaforma.

Una timeline, una redazione dedicata e uno scopo: costruire (o ricostruire) una comunità. Per il sottoscritto sono questi gli elementi su cui lavorare per rendere Facebook un'opportunità. Strategia che non prescinde dalla quantità. Anche se il traffico è lo strumento anziché il fine.

Facebookmentario è un esperimento realizzato da Isacco Chaif e Cecilia Brioni. Esempio d'uso della timeline ricco di spunti e riflessioni (segnalazione via Ninja Marketing). E' stata recuperata e narrata la storia della strage di Piazza della Loggia, dal 28 maggio 1974, il giorno dell'evento, fino al 12 aprile 2012, data della sentenza definitiva di assoluzione per tutti gli imputati. Video, immagini, documenti, testimonianze. Il risultato è coinvolgente, ricco di suggestioni. I due contenitori, da dove si attinge, sono l'archivio [della Rete] e l'abilità nel costruire una narrazione efficiente. Risorse di cui abbondano giornali e riviste.

venerdì 4 maggio 2012

Il pianeta delle scimmie

Un software al posto dei giornalisti? La domanda è di Wired (qui). La risposta, affermativa, di Kristian Hammond, cofondatore di Narrative Science, azienda di Chicago impegnata nella creazione di algoritmi per la scrittura. Il primo prototipo è stato chiamato Stats Monkey, conosciuto per aver realizzato la cronaca di un incontro di baseball.

Come fa notare Francesco Vignotto (qui), "l'applicazione si dimostra ben più primitiva di quanto cerchi di presentarsi... ". Analisi che condivido, almeno sulla base dei lanci pubblicati sul blog di Forbes. Ma la scimmia sta muovendo solo i primi passi e la capacità di produrre a raffica, con la precisione di una macchina, ben si adatta all'eco-sistema tutto traffico e Cpm. Un pericolo o più semplicemente un cambiamento che potrebbe prendere forma in futuro.
Della contesa fra androidi e giornalisti ho scritto un post qui, su Voices.

giovedì 3 maggio 2012

Tra magazine e digitale

Nel 2008 il Christian Science Monitor annunciò la decisione di abbandonare la pubblicazione su carta per diventare un quotidiano all-digital. Le condizioni economiche - perdite per oltre 18 milioni di dollari all'anno - hanno rivoluzionato l'offerta editoriale: un sito web free e un settimanale, disponibile sia su carta sia come applicazione per tablet.

Strategia che non solo ha salvato la testata, ma sta dando ottimi risultati, come annuncia lo stesso Christian (qui). Le performance, per l'anno fiscale chiuso il 30 aprile, sono le migliori dal 1963, gli abbonati paganti al magazine hanno raggiunto quota 60mila, con un incremento pari al 40%.
Significativa conferma di quanto l'equilibrio tra piattaforme e modelli di business - vecchi e nuovi - sia l'unica risposta possibile per fondare un eco-sistema sostenibile.

mercoledì 2 maggio 2012

Internet senza scuola

La lunga marcia del digital divide parte dalla scuola. E’ il dato più interessante che emerge da una ricerca sull’uso delle nuove tecnologie realizzata dall’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (qui).
Il gap rispetto alla media europea si attesta attorno ai 18 punti percentuali. In Italia gli individui che navigano in rete sono il 51%, contro una media Ue del 68%.


La scuola è quasi assente nell'apprendimento delle competenze. Il 75,9% degli utenti hanno acquisito know how attraverso la pratica. Ruolo decisivo anche per il passaparola e le relazioni interpersonali: il 68,7% di chi naviga sa eseguire almeno un’operazione riguardante l’uso della rete grazie all’aiuto di parenti, colleghi o amici.


Un processo di conoscenza senza la scuola segna un confine pericoloso, che rischia di rendere la tecnologia un elemento di esclusione sociale. Situazione paradossale, per certi versi tipicamente italiana. Mentre oltre confine – seppure con una buona dose di mistificazione – si celebra la rete come strumento e luogo di democrazia e di equità.

giovedì 26 aprile 2012

Economia streaming

Si chiama Markets Pulse il live blog del Wall Street Journal. Piattaforma di cronaca economico-finanziaria dove sono pubblicati articoli - alcuni free, altri riservati agli abbonati - video e foto, tweet (segnalazione qui, via Nieman Journalism Lab).


Sui motivi dell'iniziativa (ancora in fase sperimentale), segnalo due considerazioni di Raju Narisetti, managing editor del WSJ digital:
- Markets Pulse consente a ciascun reporter di aggiornare e arricchire il proprio lavoro con modalità inedite (piccoli aggiornamenti, tweet, foto),
- il prodotto si presenta sempre aggiornato, presentando al lettore le notizie sia su un piano orizzontale sia verticale, di maggiore approfondimento.

Interessante chiosa conclusiva: nei news stream gli utenti trascorrono più tempo rispetto alle performance realizzate dei siti tradizionali.

martedì 24 aprile 2012

Portali e mash-up perpendicolari

Negli Usa cresce il tempo speso sui media sociali. Engagement in aumento che cannibalizza quella degli altri player. La web activity sui social network nel corso nel 2012 supererà quella generata dai portali. Sorpasso storico, già avvenuto in America latina (segnalazione qui e qui, via V3 e comScore Blog).


L'attenzione aggregata dentro un'area sociale non è solo un problema per chi ne è escluso. Facebook e Twitter forniscono indicazioni preziose su come articolare e migliorare l'offerta editoriale. Peraltro resto convinto che il modello portale - inteso come un contenitore dove al contenuto sono affiancati servizi e piattaforme di vendita - sia tutt'altro che superato. Anzi rappresenta l'alternativa potenzialmente più interessante per chi fa il mestiere di editore.

La voracità dell'utente sociale indica che la distribuzione delle notizie si sia arricchita di un nuovo canale: la rete dei contatti, professionali e di amici. Un movimento che costruisce comunità catalizzate attorno argomenti verticali (food, divertimento serale, sport, hobby, film, economia). L'offerta generalista dei giornali non può trascurare la frammentazione. Occorre pensare prodotti modulari e scomponibili. L'idea del giornale come applicazione è limitativa in un contesto di questo genere. Più aderente alla realtà la metafora dei mattoncini del Lego, che dalla forma iniziale - un castello, un auto, l'astronave - si adattano alle fantasie dei bimbi, assumendo forme diverse.

Il "mutamento climatico" richiede la creazione di mash-up perpendicolari. Lo sforzo per realizzare questo obiettivo è tutt'altro che semplice. A iniziare dal fattore tempo. Recuperare l'attenzione perduta - il quotidiano o il giornalista che diventa amico o account da seguire - richiede un progetto a medio/lungo periodo. Orizzonte temporale che serve anche alla ricollocazione dei fattori produttivi. Chi scrive deve integrarsi con strumenti e professioni diverse. Web semantico, architetti dell'informazione, grafici.  Concetti e parole scontate per chi lavora sul web da un po' di tempo (e neanche per tutti), rivoluzionarie per la maggioranza degli addetti al lavoro di fare informazione.

venerdì 20 aprile 2012

New York Times aggrappato al paywall

La società d'investimento Ironfire ha pubblicato uno studio sulla sostenibilità finanziaria del New York Times (segnalazione qui, via Columbia Journalism Review) . Secondo l'analisi, per il gruppo editoriale il futuro è difficile. Entro il 2015 il quotidiano potrebbe non sopravvivere come entità autonoma. E l'ipotesi di pesanti tagli dei costi (redazione compresa) diventerebbe una scelta obbligata.
La causa è nota: forte contrazione della raccolta pubblicitaria su carta - fenomeno strutturale e congiunturale - non compensata dalla crescita dell'advertsing online.

Ma c'è un dato positivo, riportato nella tabella: dall'introduzione del paywall il fatturato derivante da abbonamenti e vendite supera quello della raccolta pubblicitaria. E' la prima volta che accade per il quotidiano di New York.


Seppure in un contesto di decrescita come valore assoluto delle revenue, il digitale mostra potenzialità in fase - anche come sostenibilità economica - con la diffusione delle nuove piattaforme. Una base di partenza e riflessione che consolida le strategie fondate sulla convergenza editoriale e meno dipendenti dalla pubblicità.
The New York Times Stares Into the Abyss

mercoledì 18 aprile 2012

Il gioco batte la green economy

Negli Stati Uniti il settore dei social game si sta affermando con ritmi di crescita vicini a quelli della green economy. Nel 2012 il fatturato dovrebbe crescere del 20% per un valore assoluto che supererà, nel 2017, la soglia dei 12 miliardi di dollari. Contro i sei miliardi dell'industria dei pannelli solari (segnalazione qui, ricerca IbisWorld).


Facebook è la piattaforma dominante. Il modello di business è fondato sulla vendita di servizi e sull'in-game advertising.
In Italia la massiccia diffusione dei social network e il rimbalzo previsto per i new media, specialmente quelli in modalità mobile ("Digital media: in pieno decollo video, social network tablet e smartphone", Osservatori.net, marzo 2012) fanno sperare in un'affermazione del settore. Per i giovani un terreno da sondare per capire dove indirizzare la formazione e la ricerca di lavoro.