venerdì 29 aprile 2011

Il dilemma dell’attenzione

Il flusso di dati e informazioni generato dalle reti digitali consolida un rapporto di attenzione parziale e sfuggente. Tricia Torres, qui ("What role will develop in social media to replace traditional editors?", via Soshable), dice che, con la diffusione dei social media, i lettori devono acquisire la capacità di distinguere le notizie attendibili tra il rumore di fondo.

Dunque in una realtà a bassa attenzione, più attenzione nel valutare le fonti. Che sia il prezzo da pagare per voler rinunciare agli editori?

giovedì 28 aprile 2011

L'ecosistema del dono a rischio d'estinzione

L’economia del dono – o della contribuzione gratuita – rappresenta una delle colonne che caratterizzano, in senso marcato e sistematico, il web e la comunicazione digitale. A memoria, nella storia occidentale, una simile propensione al dono, all’agire immediatamente disinteressato, è rintracciabile nella Roma antica, con il fenomeno dell’evergetismo. Anziché gli utenti online, i decurioni, ovvero funzionari pescati  tra le classi più agiate e potenti delle città, si prendevano a carico la manutenzione, l’intrattenimento e lo sviluppo dei centri urbani. Analogia geografica: per la diffusione in tutto il territorio dell’impero, così come la contribuzione globale via web. Profonde le differenze sociali: il censo era la determinante in epoca romana, la conoscenza nell’azione collaborativa online.
L’evergestimo entrò in difficoltà nel corso del secondo secolo dopo Cristo, per poi scomparire nei secoli successivi, a causa dei complessi mutamenti sociali ed economici che interessarono il tardo impero romano.

La contribuzione gratuita corre un simile rischio? Secondo Luigi Proserpio (pag. 29, “Comportamenti digitali”, libro che merita attenzione) quattro variabili potrebbero determinare il crollo della contribuzione:
- bassa qualità e visibilità dei contenuti, ovvero - secondo Proserpio-  l’eccesso di rumore sommerge i contenuti generati dagli utenti e non ne permette la valorizzazione;
- accresciuta difficoltà di ricerca dei contenuti generati dagli utenti;
- permanenza dell’identità digitale;
- lenta, ma progressiva, perdita di attrattività delle reti sociali: “il Facebook suicide è piuttosto frequente di questi tempi, perché l’applicazione non riesce più a generare un’atmosfera calda, coinvolgente e attrattiva”.

Ipotesi di lavoro, da verificare. Anche se c’è già qualche segnale concreto d’inversione di tendenza, come riporta Lsdi (qui, "Blogger in rivolta contro l’ economia della gratitudine”) il rapporto prodotto/ceduto/in cambio/di/visibilità mostra qualche limite e più di un sospetto di appropriazione indebita.
L’economia del dono può funzionare, come forza positiva in grado di disintermediare i processi di produzione, a una condizione: gli attori devono avere tendenzialmente gli stessi fini e il medesimo peso economico. Diversamente, le differenze in termini di capacità contrattuale ed economica minano l’ecosistema del dono e creano i presupposti per generare forme di arricchimento a bassi tassi d’investimento.

venerdì 22 aprile 2011

Portali news

Oltre i quotidiani. Anche negli Stati Uniti la "portalizzazione" dell'informazione (scusate il brutto neologismo) è un fattore tutt'altro che trascurabile (qui, via Poynter.org). Ecco i dati di marzo per utenti unici.

giovedì 21 aprile 2011

E io non pago

I recinti non si chiudono. E se lo fanno restano semi-vuoti. Emma Bazilian (AdWeek) dice che gli americani, disposti a pagare per leggere le notizie, sono pochi (20%) e in diminuzione: tre anni fa erano il 23% (qui).
Bassa propensione all'acquisto in grado di scoraggiare qualsiasi iniziativa paywall in Italia, dove la percezione contenuto editoriale come bene-valore è molto bassa.

Spetta alla raccolta pubblicitaria il compito di trovare - e scovare - la sostenibilità economica? Forse, a due condizioni: strutture leggere (anche per capitale umano), palinsesti orientati all'entertaiment.
Diversamente, se questa soluzione non piace - ed è pure poco auspicabile -, la risposta passa attraverso una convergenza editoriale e - perché no - attraverso un contratto nazionale - quello giornalistico - più congruo al nuovo ecosistema cartaceo/digitale.

Supremazia

Tra i quotidiani in lingua inglese il New York Times si conferma in prima posizione. Almeno se si utilizza la metrica dell’utente unico.
Supremazia che dovrà affrontare la prova del paywall, introdotto sul finire di marzo.


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martedì 19 aprile 2011

Stipendi e page viewsss

Bonus economici basati sulle pagine viste. La rivoluzione della quantità potrebbe essere intrapresa da Usa Today. I rumor sono riportati qui da editorsweblog e qui da White Hat Writing (peraltro citando la medesima fonte). La mossa - possibile - crea critiche, qui Barbara Sehr, via Seattlepi.

Il potere delle metriche quantitative - in sintesi - minaccia il giornalismo di qualità, orientando la produzione verso la domanda e l'infotainment. Ho parlato di questo argomento al recente Festiva del giornalismo di Perugia (qui): i meccanismi economici della rete stanno puntando verso un ambiente fondato sempre più sull'audience (diversamente chiamata e calcolata). Un meccanismo che rende, una grande parte della comunicazione digitale, vulnerabile all'influenza del medium televisivo. Sopratutto nei paesi a bassa penetrazione informatica, come l'Italia.

Quantità, dunque, senza necessariamente demonizzarla. Il giornale è tale e svolge la sua funzione civile, solo se ha una sufficiente diffusione. La società occidentale - quella che ha prodotto il sistema informativo che si conosce - è fondata sull'accumulo di capitale figlio, prima del commercio e poi della produzione di grandi masse di oggetti e di servizi.

C'è il rischio di una deriva dei contenuti, così come di un generale abbassamento della qualità se si portano alle estreme conseguenze le potenzialità della decisione di Usa Today.
Ma ci sono agenti in grado di assicurare un tendenziale equilibro fra copertura e correttezza dell'informazione. Il primo è il brand-giornale - o del sito - che è un valore economico, l'audience è comunque cercata nell'ambito di questo valore. C'è poi la professionalità di chi scrive, la perdita di reputazione  - insidiosa e tentacolare nella socità in rete - è un efficace deterrente all'info-spazzatura dei contenuti.

sabato 16 aprile 2011

Chi vende le notizie? Appunti convergenti

Il 14 aprile, nell'ambito del Festival del festival del giornalismo di Perugia, ho avuto il piacere di partecipare al panel "Chi vende le notizie? Distribuzione dell'informazione: visioni e modelli per la convergenza editoriale". Moderato da Pier Luca Santoro, al panel hanno partecipato Filippo Pretolani (fondatore e Ceo Gallizio Editore), Alessandro Sisti (Coo multimedia gruppo Corriere dello Sport), Domitilla Ferrari (social media strategist nella direzione generale digital di Arnoldo Mondadori Editore) e Amilcare Digiuni (segretario nazionale responsabile organizzazione Sinagi).

Pier Luca Santoro ha realizzato un'ottima sintesi del lavoro (qui, via Il Giornalaio), offrendo una visualizzazione dei concetti emersi.
Domitilla Ferrari in questo post (via Semerssuaq*), racconta la sua partecipazione. Un intervento che ha riportato al centro dell'informazione il lettore come persona, fuori dalla logica utente unico/pagine viste/copie vendute.
Logica sui cui ho insistito io. Un po' provocatoriamente, molto per esperienza diretta.
Di seguito gli appunti di quello che ho detto, di quello che avrei voluto dire e di quello che dirò. Un giorno.

=> Se si discute dove va l'informazione, che forme sta assumendo – con l’intera filiera produttiva che sta attorno – l’ambito territoriale del ragionamento valica il confine segnato dai giornali. Sul web molti lettori s’informano attraverso i portali.

["Adulti e anziani dichiarano di informarsi più spesso e con più assiduità rispetto ai giovani. L’impressione è che questa differenza evidenzi un nuovo modo di fruire l’informazione che nel caso dei giovani è meno sistematico e più “opportunistico”: a puzzle. Il 60,9% degli online news consumer (51,1% della popolazione ma 93,8% nella fascia 18-29 anni) si informano infatti attraverso portali internet che aggregano notizie come Google News, MSN e Libero notizie, nel 62,7% dei casi utilizza fra 2 e 5 siti web per informarsi, nel 23% dei casi ottiene informazioni da altre persone o organizzazioni seguite su Facebook (inclusi parenti e amici personali) e nell’84,5% dei casi dichiara di gradire imbattersi in notizie e informazioni che riguardano argomenti sui quali non si erano soffermati in precedenza (contro un 73,5% del resto del campione). Gli online news consumer sono inoltre più critici nei confronti del sistema dei media (solo la metà si fida della TV – contro il 63,2% dei consumatori offline – 82,9% ritiene che la maggior parte delle fonti di informazione siano schierate e il 75,7% che vi siano notizie rilevanti volutamente omesse)…"  (qui, "Le news e gli italiani: dalla carta stampata, alla rete al mobile
. L’informazione: da rito a puzzle", LaRica-Laboratorio di ricerca comunicazione avanzata]
=> Dall’esame allargato cosa si deduce? Che soprattutto nei luoghi – chiamiamoli così – non realizzati da editori tradizionali l’info light è presente in maniera massiccia, anzi ne è l’ossatura.
Si pubblica ciò che il lettore vuole leggere (in molte di queste realtà si cambiano, in tempo reale, foto e titoli in funzione dei click), nei quotidiani “tradizionali”, l’uso dell’informazione, pur tendendo verso quella direzione, tiene dei margini meno coinvolti dall’entertainment.
Da questa constatazione si aprono due sottoinsiemi di ragionamento.
Uno. Le modalità d’uso del web sono diverse , a un uso competente e consapevole, si affianca un uso “primordiale” del pubblico a bassa intensità informatica. Io penso che questo pubblico sia la maggioranza.
Due. L’agenda televisiva – medium dominante e agente informante del pubblico italiano – determina gusti e uso dell’informazione, anche sul web.
[Esiste, a mio giudizio, un diffusa riproduzione di massa che deriva direttamente dal mezzo televisivo. Riproduzione perché altri media, a cominciare da quelli digitali, propongono – anche se sotto forme diverse – il palinsesto televisivo. Messaggi che entrando, poi, nella piattaforma digitale, tendono ad auto-riprodursi e a diventare auto-comunicazione di massa (così come definita da Manuel Castells, "Comunicazione e potere")].  
=> Questa massa di utenti dediti a un’informazione leggera e a basso tasso d’impegno tecnologico può diventare un’opportunità. In Italia il web – credo per la prima volta – ha consentito a un numero crescente di persone di accedere alle notizie attraverso un mezzo che non è quello televisivo, seppure – per ora – è pesantemente influenzato.
Si legge, con modalità nuove, ma si legge, ed è possibile guardare video non necessariamente televisivi.

=> Un’opportunità che presuppone non solo l’abilità di cogliere il profumo dell’informazione, ma soprattutto il profumo (e spesso l’odore) dell’utente/lettore.
Chi comunica non solo deve saper scrivere. Deve essere consapevole d’utilizzare metodi e processi diversi rispetto al passato per la gestione dei fatti. E infine, in maniera ancora più accentuata rispetto a ieri, deve conoscere per chi scrive, con quale pubblico interagisce (significativo il panel che ora utilizzano i giornalisti del Washington Post, qui). Compito del tutto nuovo – tutto sommato - che presuppone la conoscenza “fisica” dei comportamenti del lettore. 
[Dove lavoro, in Virgilio.it, abbiamo avuto per circa tre anni i commenti aperti, il post sul commentario non era subordinato ad alcuna registrazione e tendenzialmente senza censura. In molti pezzi su temi caldi – le tasse, le questioni politiche – ho notato che la discussione – vivace – era determinata in funzione del titolo e delle prime righe di testo.
Ho un dubbio: la lettura dall’alto in basso è una soluzione valida? Perché non escogitare soluzioni orizzontali di lettura? E comunque: non è doloroso, per chi scrive, sapere che i lettori giungono a conclusioni parziali e sono, dunque, male informati?]
=> Altra considerazione: quanto si punta sui lettori office (ovvero che accedono ai prodotti online dal lavoro) e quanto su quelli in mobilità e da casa? I numeri, che consulto da anni, dicono che i primi sono la netta maggioranza, pur non essendo trascurabili gli altri. Ecco questo è un altro elemento da mettere nell’amalgama dell’informazione di domani, evitando false mistificazioni e improbabili speranze, come quello che sta avvenendo con i tablet.

=> Dobbiamo avere la capacità di convergere verso un prodotto-giornale modulare che fornisca la propria capacità informativa in funzione del tipo di utente, del mezzo usato, del momento e del luogo.
E un simile risultato può essere raggiunto unicamente attraverso una convergenza editoriale e industriale, per realizzare le migliori sinergie.
La convergenza editoriale come garanza di equilibrio economico, in grado di consolidare il valore della carta (vendite e raccolta pubblicitaria) che in Italia ancora per lungo tempo sarà la fonte principale di guadagni (anche se, come si sa, in contrazione).

=> L’online come supporto al rafforzamento del valore della carta. Occorre creare un “unicum”, un ambiente online modulare che si muovi su piani diversi: il divulgativo che, nello stesso tempo, faccia da apripista agli approfondimenti e conduca alla sottoscrizione di abbonamenti su carta o a formule freemium. Un’operazione che comunque consenta di non abbandonare il mercato della raccolta pubblicitaria su web, piccolo, ma in forte e progressiva crescita.

martedì 12 aprile 2011

L'aggressività della crescita

Il Global peace index è un indicatore che si propone di misurare la propensione alla pace di ciascun paese. E’ elaborato dall’Insitute for economics & peace sulla base di 23 variabili, tra le quali le spese militari, i rapporti con i vicini, il rispetto del diritti umani (segnalazione qui, via Guardian).

La mappa elaborata su dati 2010 (la propensione alla pace è più forte in funzione dell’intensità del verde) mostra un continente asiatico bellicoso: con tutta probabilità, in questo senso, incide la spesa militare e il tenue rispetto dei diritti umani in Russia, Cina e India. Peraltro il Gpi è mediamente più alto (dunque debole) in tutte le economie emergenti, segno che la crescita spesso è accompagnata da politiche estere tendenzialmente aggressive.

lunedì 11 aprile 2011

Il profumo del lettore

Al Washington Post, scrive Ken Doctor (qui, via Nieman Journalism Lab), si sono dotati di uno strumento in grado di leggere il comportamento online degli utenti. Un panel (o dashboard 1.0 come è chiamato nell’articolo) per tracciare utenti unici, pagine viste (la terminologia è rispettivamente modificata in “lettori” e “pagine lette”), preferenze, tempi di permanenza.

Il profumo dell’informazione deve affiancarsi, dunque, alla ricerca del profumo (a volte dell’odore) dell'utente. Il consenso online – stretto dall’accoppiata utenti/pagine viste – impone metodi e processi in grado di riunire tra le mani di chi scrive, conoscenze marketing e capacità di comprensione delle dinamiche fisiche che fissano l’interazione lettore/monitor.
E non necessariamente un simile lavoro conduce a un contenuto scolpito dalla domanda. Anzi, da questo sforzo di analisi è possibile intraprendere percorsi di cambiamento verso un ecosistema dove l’offerta sia in grado influenzare la domanda.

venerdì 8 aprile 2011

Sì, giocare

I tablet si usano soprattutto per giocare. Lo dice una ricerca effettuata tra 1.400 possessori di device mobili negli Stati Uniti (realizzata da AdMob per conto di Google, qui, segnalazione via Guardian).

L’84% dei proprietari usa iPad e simili per giocare, seguono la ricerca d’informazioni (78%), l’invio di mail (74%) e la lettura delle notizie (61%). L’attività di social networking interessa il 56% degli utenti, mentre il 51% ascolta musica e vede film. La lettura di libri si ferma al 46%.

giovedì 7 aprile 2011

Giornalisti a scuola di media sociali

Dopo Facebook (qui) anche Knight Citizen News Network pubblica una guida (qui) sull’uso dei social media: un lavoro che merita almeno una lettura.

Caffè e latte

Un paese che cambia. E non solo - come si scrive spesso su questo blog - per l'impatto delle tecnologie digitali. All'orizzonte nuove genti stanno arrivando sul territorio che, peraltro, storicamente è stato luogo d'incontro di popoli. Memoria che andrebbe spesso rispolverata.

In occasione del convegno "Ricomporre Babele: educare al cosmopolitismo" (Milano, 7-9 aprile), Ipsos ha realizzato un sondaggio sul tema dell'immigrazione in Italia (qui): il 56,9% degli italiani è convinto che il paese stia compiendo i primi passi verso l'integrazione, anche se la strada è ancora lunga.
Altri tre dati significativi: il 28,4% teme o guarda con sospetto (e curiosità) l'immigrazione, mentre il 29,7 l'aspetta fiduciosa e il 35% la ritiene inevitabile.

Per il successo del processo di integrazione è fondamentale il ruolo della scuola: secondo la ricerca il suo ruolo è necessario per il 44,5%, utile per il 44,6% e solo il 3,4% lo giudica dannoso.

mercoledì 6 aprile 2011

Il futuro di Twitter

Le valutazioni e le voci che si rincorrono sulla piattaforma sociale sono in grado di predire l’andamento dei titoli azionari. La notizia è riportata da Bbc News, qui. La ricerca – firmata da Timm Sprenger – ha setacciato e analizzato 250 mila tweet in un arco di tempo dei sei mesi. Lo studio si è poi concretizzato nel sito TweetTrader.net, dunque è immediatamente verificabile tale capacità.
Le piazze sociali si dimostrano sempre più luoghi dove si visualizzano intenzioni e comportamenti. Informazioni a elevata intensità quantitativa e qualitativa.

martedì 5 aprile 2011

Correzione e controllo

La nuova release del Washington Post ha affiancato, ad ogni articolo pubblicato, un form per segnalare gli errori e per fornire suggerimenti (qui, via editorsweblog). Strumento d’interazione con il pubblico che sta tra il controllo ortografico e la verifica sull’esattezza dei fatti riportati.


Iniziativa da seguire, perché traccia un interessante passo in avanti verso la fidelizzazione degli utenti, in grado, in questo modo, di diventare agenti attivi nella formazione del brand-giornale. In un ambiente che appartiene integralmente all’editore.

lunedì 4 aprile 2011

Video mobilità

Seppure credo che l’ossatura dell’informazione e dei prodotti online sia fondata sul traffico generato negli uffici e durante le ore di lavoro, la crescita dell’uso dei device mobili è un fenomeno sempre più incidente sulle strategie editoriali.

Una recente ricerca Nielsen (qui), realizzata negli Usa, ha registrato un sensibile aumento del consumo di video su piattaforme mobili (40%, 2010-2009). A parte il beneficio d’inventario su come il fenomeno si dipanerà nella quantità e nel tempo, la preferenza per i video e per la mobilità è il segno di come la parentesi di Gutenberg - la parola scritta come architrave dell'informazione - potrebbe chiudersi per lasciare il posto al sapere fondato sull’oralità del fotogramma digitale. Suscettibile, come il passaparola, d'infinite elaborazioni e reinvenzioni.

venerdì 1 aprile 2011

Quantità di massa

Il web ha prodotto un ecosistema variegato e di auto comunicazione di massa solo a un livello secondario, ovvero quello della ri-elaborazione del materiale informativo. Al primo livello, là dove le notizie sono prodotte, dove si creano le architravi su cui si regge questa struttura comunicativa (esageratamente considerata "dal basso"), le tecnologie digitali stanno proponendo il taylorismo nelle forme più crude.
La quantità, che trova nel digitale l’ambiente ideale per la massima efficienza, resta – in questo momento storico – la linea che unisce contenuto e utente. Una linea che offre prospettive di sostenibilità economica – seppure a bassa intensità –. Creatività, esplorazione narrativa ed economia del dono (ammesso che esista) sono per ora ai margini.