mercoledì 31 marzo 2010

I numeri di Facebook

Da Website-Monitoring fotografia sulla diffusione mondiale del più famoso dei social network. Oggi Facebook ha più di 400 milioni di utenti. Nella classifica mondiale l'Italia è sesta con quasi 16 milioni di utenti.

Web journalism. Da utilizzare con cura

Piccola rivincita dei media tradizionali sul giornalismo di base. Come riportato sull’Huffington Post, qualche giorno fa è ribalzata la voce della morte di Dorothy Height, storica attivista per i diritti civili in Sudafrica. Un post da Twitter, firmato Clove 1215, annunciava la dipartita dell’anziana signora. In poco tempo la voce si è diffusa sul web, generando, solo su Twitter, più di 1.000 post.
Wikipedia aggiornava, con la consueta velocità, la biografia di Dorothy Height.


Per fortuna la signora Height è viva, pur versando in cattive condizioni di salute presso Howard University ospital.
C’è stato, dunque, un errore, non si sa se originato da atto doloso o colposo. Un tranello in cui non sono caduti le testate professionali. Cnn, Washington Post e The New York Times si sono ben guardati dal riportare la notizia. Probabilmente perché hanno fatto il loro lavoro, ovvero hanno controllato i fatti, anziché copiare pedissequamente i rumors provenienti dal web.
Forse, oltreoceano, stanno imparando a usare i social network e le potenzialità dell’auto-comunicazione di massa – che beninteso in prima battuta non è giornalismo – senza cadere nell’errore di considerarli i campioni assoluti della libertà d’espressione (e d'informazione).

martedì 30 marzo 2010

Come sono utilizzati i social network

Poco più di una settimana fa Mashable ha pubblicato i risultati di una ricerca realizzata da Chitika – una società di advertising online – su come gli utenti utilizzano i social network. Ebbene sembra che gli utenti di Twitters siano in larga maggioranza interessati alle notizie, quelli di MySpace ai giochi, in Facebook c’è mix fra notizie e community. Chiude Digg con una sostanziale parità fra i diversi settori d’interesse: news, games, tech, community, how to, shopping. Il lavoro è stato condotto analizzando le categorie di siti che hanno ricevuto traffico dai social network.
I risultati sono riportati nel dettaglio qui sotto.

lunedì 29 marzo 2010

Google's slaves

L’entusiasmo sul web, sulla diffusione di quella che Manuel Castells definisce l’autocomunicazione di massa, sta lasciando il posto a più di una perplessità. Temo che si stia imponendo una cultura che non è quella della libera informazione, ma quella della pubblicità.
Un approccio del prodotto editoriale seo-oriented è preoccupante, soprattutto quando alla fine ciò porta ad avere un’azienda privata – Google – come unica cartina di tornasole. E come se nel rapporto tra giornale e lettore ci fosse un solo distributore. In grado di stabilire regole e mercato.
Mi ricordo che un tempo, mi riferisco agli anni ’90, quando lavoravo nell’editoria cartacea, c’erano focus group, analisi sulle abitudini e sulla tipologia dei lettori. Probabilmente nelle case editrici old style si fa ancora così.

Ho la sensazione che il web abbia passato un bel colpo di spugna su queste regole, l’obiettivo è la page view, essere primi nei risultati di ricerca di Google. Poi c’è il contenuto, ma proprio dopo. Il lettore è un indice, una macchina da click.

Gli editori devono smettere di subire l’innovazione. Come? Magari distribuendo gratuitamente, o in comodato gratuito, un e-reader ai lettori in cambio di un abbonamento annuale al quotidiano (con la possibilità di un pagamento mensile). Idea senza senso? Economicamente irrealizzabile? Forse.
Però potrebbe essere un modo per rompere lo schema del tutto gratis. E si aprirebbero le porte a nuove tecnologie, web-based, ma fuori dallo schema Google, puramente pubblicitario.
Mi rendo conto che la proposta è onerosa, probabilmente irrealizzabile, ma giornali e editori devono, da soli o associati, agire, muoversi, stupire con nuove idee, proporre modi diversi di consumare notizie e libri.

Oggi internet è libera informazione, ma anche una poltiglia fatta di sciocchezze, dicerie, mal di pancia, e insulti. Sono convinto che se domani chiudessero tutte le agenzie giornalistiche e tutti quotidiani, dopodomani, in rete, si scriverebbe di una sola cosa: del perché gli editori hanno chiuso i battenti.
Non rinnego il web, ci lavoro e ci campo, però amo pure libri, i giornali e gli editori. Blogger e giornalisti possono convivere. Con un’avvertenza. Fare giornalismo e informare, costa, a meno che non si riduca tutto a squallidi giochetti di "copia e incolla". Ci deve essere una filiera produttiva che punta al profitto e sia in grado di erogare stipendi. Siamo sicuri che la pubblicità possa garantire tutto ciò?

Splinternet

Il web sta cambiando faccia. La rete, sinonimo di globalizzazione, di un unico ambiente d’informazione, potrebbe diventare presto un ricordo.
Almeno questa è l’opinione di Ben Kuzz, in un articolo pubblicato su Business week. I nuovi protagonisti di internet – Google, Apple, Amazon, Sony – stanno investendo il mondo dell’online con applicazioni e device chiusi. Servizi, giochi e news connessi in ecosistemi isolati.
"Gadgets are doing to the web what the web did to newspaper… " è la tesi di Buzz. La splinternet potrebbe essere il domani, visto che secondo molti osservatori il collegamento con il web presto saranno le diverse “App proprietarie”. Mondi verticali, tanto che se fosse vero sarebbe da porre una bella lapide sul concetto stesso di rete. Ma sarà davvero così? La diffusione dei social network va nella direzione opposta. Piuttosto alla complessa realtà digitale si stanno aggiungendo nuovi fattori – i device e le app, appunto -.