lunedì 29 marzo 2010

Google's slaves

L’entusiasmo sul web, sulla diffusione di quella che Manuel Castells definisce l’autocomunicazione di massa, sta lasciando il posto a più di una perplessità. Temo che si stia imponendo una cultura che non è quella della libera informazione, ma quella della pubblicità.
Un approccio del prodotto editoriale seo-oriented è preoccupante, soprattutto quando alla fine ciò porta ad avere un’azienda privata – Google – come unica cartina di tornasole. E come se nel rapporto tra giornale e lettore ci fosse un solo distributore. In grado di stabilire regole e mercato.
Mi ricordo che un tempo, mi riferisco agli anni ’90, quando lavoravo nell’editoria cartacea, c’erano focus group, analisi sulle abitudini e sulla tipologia dei lettori. Probabilmente nelle case editrici old style si fa ancora così.

Ho la sensazione che il web abbia passato un bel colpo di spugna su queste regole, l’obiettivo è la page view, essere primi nei risultati di ricerca di Google. Poi c’è il contenuto, ma proprio dopo. Il lettore è un indice, una macchina da click.

Gli editori devono smettere di subire l’innovazione. Come? Magari distribuendo gratuitamente, o in comodato gratuito, un e-reader ai lettori in cambio di un abbonamento annuale al quotidiano (con la possibilità di un pagamento mensile). Idea senza senso? Economicamente irrealizzabile? Forse.
Però potrebbe essere un modo per rompere lo schema del tutto gratis. E si aprirebbero le porte a nuove tecnologie, web-based, ma fuori dallo schema Google, puramente pubblicitario.
Mi rendo conto che la proposta è onerosa, probabilmente irrealizzabile, ma giornali e editori devono, da soli o associati, agire, muoversi, stupire con nuove idee, proporre modi diversi di consumare notizie e libri.

Oggi internet è libera informazione, ma anche una poltiglia fatta di sciocchezze, dicerie, mal di pancia, e insulti. Sono convinto che se domani chiudessero tutte le agenzie giornalistiche e tutti quotidiani, dopodomani, in rete, si scriverebbe di una sola cosa: del perché gli editori hanno chiuso i battenti.
Non rinnego il web, ci lavoro e ci campo, però amo pure libri, i giornali e gli editori. Blogger e giornalisti possono convivere. Con un’avvertenza. Fare giornalismo e informare, costa, a meno che non si riduca tutto a squallidi giochetti di "copia e incolla". Ci deve essere una filiera produttiva che punta al profitto e sia in grado di erogare stipendi. Siamo sicuri che la pubblicità possa garantire tutto ciò?

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