venerdì 29 ottobre 2010

They have a dream

Ejo riporta (qui) i risultati di una ricerca effettuata da Perfect Market (qui): non sono le soft news a generare più traffico e ricavi pubblicitari. Secondo i ricercatori – l’indagine è stata condotta su 15 milioni di articoli pubblicati da 21 siti d’informazione – gli articoli più letti sono quelli che trattano di problemi sociali ed economici. Il lavoro e la disoccupazione, la crisi finanziaria e le rate del mutuo.

Questo al di là dell’oceano. Forse.
Se si torna entro i confini italici, il panorama cambia sensibilmente. Tenendo ferma l’accoppiata guida della raccolta pubblicitaria – pagine viste/utenti unici – l’infotainment è inattaccabile. Mediamente  un pezzo su temi economici (pensioni, lavoro) performa in termini di pagine viste circa quattro volte di meno rispetto alla cronaca nera (delitto di Avetrana) o al gossip politico (Ruby e tutti gli annessi). Google alle parole “Bunga bunga”, restituisce 12milioni di risultati, “rate mutui”, 879mila, “disoccupazione”, 368mila.

Questa è la realtà, che può e probabilmente deve essere cambiata – con cause da indagare, valutare: io credo che un ruolo importante sia stato giocato dall’offerta -. Se si parte da letture scorrette, le conclusioni rischiano d’essere, nella migliore delle ipotesi, deludenti.

giovedì 28 ottobre 2010

Percezione della crisi, un timone per i media

Vale la pena leggere l’indagine Acri-Ipsos sugli italiani e il risparmio. Il lavoro evidenzia la consapevolezza che l’uscita dalla crisi sarà lunga. E mostra un paese polarizzato e sfaccettato – tipico di tutte le economie avanzate. Nonostante le attese negative, crescono i soddisfatti della propria situazione economica. Aumentano le famiglie che hanno mantenuto il proprio standard di vita e diminuiscono quelle in grado di miglioralo.
Tiene il risparmio – una famiglia su tre – seppure questa risorsa (quella che fino ad ora è stata il vero ammortizzatore sociale nella grande crisi) si sta progressivamente depauperando.
Il rapporto è disponibile qui, qui la sintesi di Angelo De Marinis da Virgilio.it.

Il rapporto può essere utilizzato come punto di osservazione sui futuri contorni dell'informazione, a partire dai dati riportati nella tabella.

Le preoccupazioni per il futuro sono in sensibile rialzo e coinvolgono la larga maggioranza degli italiani. Da vedere come sarà realizzata la copertura su queste tematiche: fosse fatta con creatività e innovazione potrebbe diventare l’occasione per (ri)conquistare la fiducia dei lettori.

mercoledì 27 ottobre 2010

Tetrarchia

Un fondo per l’innovazione nel giornalismo. Il motore di ricerca stanzia 5 milioni di dollari alle organizzazioni non profit che si occupano di ripensare il mestiere dello scrivere (qui Official Google Blog).

Cambiare. Così come sta profondente mutando l’uso di internet nel mondo. Lo dice la ricerca di Tns, Discover Digital Life (qui e qui l’ottima sintesi da Tecnoetica).
Crescita impetuosa, soprattutto dell’attività di social networking che spinge le connessioni mobili, destinate a superare quelle fisse.
Dunque autocomunicazione di massa – il cui impatto è ancora da valutare nella sua interezza -, un fenomeno che potrebbe limitare il monopolio di Google. Verso un futuro con più tetrarchi? E anche il contenuto sarà tra questi?

martedì 26 ottobre 2010

Codex sensazionale

Un codice internazionale di etica dell’informazione. E’ quanto propone l’European journalism centre. Si fonda su cinque principi: ricerca della verità, rispetto della privacy, difesa della libertà di stampa, rifiuto della discriminazione e del sensazionalismo (qui la sintesi da Lsdi).

I codici etici sono sempre da valutare con diffidenza. Nella migliore delle ipotesi sono il segnale di un problema. E sono spesso inutili.
Il contenuto del “codex” traccia linee ovvie: verità, libertà, discriminazione, privacy. Poco da dire. Seppure fosse adottato – da chi? blogger, editori e ordini, giornalisti -, il giorno dopo lo scorrere del fiume editoriale non cambierebbe corso.

C’è il rifiuto del sensazionalismo. E cos’è? Disseppellire i morti, vivisezionare i cadaveri, fare spettacolo con i drammi umani? Paletti posti su un terreno talmente molle da renderli inutili.
Se non piace la piega che ha preso l’informazione - ridondante, stereotipata - non servono regolamentazioni.

È giustificata la preoccupazione di chi pensa che l’offerta influenzi la domanda. 
Ma un simile panorama dopotutto è anche un’occasione per chi vuole provare strade diverse. Sono convinto che ci sia un arcipelago civile in grado di diventare massa. Serve il coraggio di proporre un contenuto diverso, lavorare ai fianchi e con pazienza. Il successo di alcune trasmissioni di qualità televisive – la tv, luogo indicato come la culla del sensazionalismo spiccio – dovrebbe essere di buon auspicio.

European Code of Media Coverage Ethics                                                               

lunedì 25 ottobre 2010

L’equilibrio degli immobili

Forse non è data journalism nel senso stretto della definizione, ma sicuramente il lavoro dell’Economist sull’andamento del mercato immobiliare è informazione di alto livello.
Il tool consente di monitorare, tendenzialmente nel periodo 1987 – 2010, le variazioni dei prezzi delle abitazioni. Fluttuazioni a parte – consiglio di giocare un po’ con il grafico, un esercizio in grado di fornire qualche indicazione sulle reali origini della Grande crisi – l’Economist si conferma come una pubblicazione che ha colto il giusto equilibrio sull’uso delle piattaforme carta/digitale.

venerdì 22 ottobre 2010

Articolo 41 e diritto allo studio

Giugno 2010. Nella ricerca ostinata del capro espiatorio, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti individuava la causa della crisi economica – dopo globalizzazione, finanza creativa e Cina – e della tenace burocrazia italica: l’articolo 41 della Costituzione.
Secondo il ministro andava modificato per garantire una reale libertà d’impresa.
Applausi, codazzo mediatico, tendenzialmente favorevole all’impugnazione del testo costituzionale.
Argomento rimasto caldo per qualche giorno e poi gettato via. Silenzio, per manifesta infondatezza.

Eppure non sono i mostri – presunti – ministeriali a minare l’economia e lo sviluppo della Penisola. Altri, invece sono reali, come il drastico taglio del fondo per le borse di studio universitarie.
I media mainstream tacciano, ne parla Federica Laudisia (qui in Lavoce.info). Il fondo passerà nel 2011 a 70 milioni di euro dagli attuali 96, ovvero ai livelli del 1998.
Lo studio è sempre meno un diritto.

giovedì 21 ottobre 2010

Il giornale come applicazione, il salto del gambero

Le app dei quotidiani forse sono un passaggio necessario, ma per ora sono un ritorno al passato. La diffusione dei media di massa è stata una conquista, peraltro lenta e non completa, delle società occidentali. Ostacoli alti, di reddito, culturali, sono stati superati.
Bene o male, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, l’informazione è diventata meno autoreferenziale e ha toccato nuove parti della società. Il giornale per supporto e prezzo diventa largamente accessibile, a patto – naturalmente - d’avere gli strumenti culturali necessari (e a questo ha provveduto una valida scuola pubblica).

E oggi? Device mobili – costosi -. Connessioni – sicuramente non gratuite -. Quotidiani come applicazioni – là dove è assente il digital divide -.
“E’ la modernità bellezza”.
Tutto ciò mentre è in atto un palese arretramento dell’efficienza e del ruolo dell’insegnamento pubblico.
Per fortuna stanno arrivando nativi digitali. E già. Ma in Italia quanti sono? Quali livelli di reddito hanno?
Nelle risposte ci sta il futuro, non solo dell’editoria.

mercoledì 20 ottobre 2010

Neonati digitali

L’81% dei bambini al di sotto dei due anni ha un profilo online, costituto soprattutto da foto. Il 92% negli Stati Uniti, media che si abbassa al 73% nei cinque maggiori paese dell’Unione europea, Italia, Regno Unito, Francia, Germania e Spagna. Profili che a volte anticipano la nascita - sono i concepiti digitali -, ovvero il 23% dei genitori pubblica sul web le ecografie prenatali.
La ricerca realizzata da Agv, società produttrice di software antivirus, è disponibile qui, via Business Wire.

Dunque il web come luogo pubblico della memoria. Con tutti i rischi che si corrono per chi si affida solo ad esso. E i vantaggi. Per le società di marketing, che possono monitorare da vicino uno dei mercati più redditizi, quello dei prodotti per l’infanzia.

martedì 19 ottobre 2010

Wild life map

Esiste anche la bio-diversità reale, oltre quella metaforica dell’informazione. Entrambe sono in pericolo.
Per la prima la tecnologia potrebbe dare un aiuto. Il progetto protectedplanet.net, presentato in occasione del summit sulla biodiversità di Nagoya, combinando dati provenienti dalle risorse del web – Google maps, Panoramio, Wikipedia, Panoramio, Gbif  – offre la possibilità di visitare le aree protette di tutto il mondo.
Conoscenza come fondamento della tutela e dell’agire. Anche se non sempre l'equazione funziona.

lunedì 18 ottobre 2010

Commercialista_online, un caso da seguire

Trovo utile condividere le slide dello Studio Panato sulla presenza online. Un’esperienza che potrebbe servire a molte aziende – non solo ai liberi professionisti – per ridefinire ruoli, strategie.
Scomposizione e riordinamento che, sfogliando le slide, sono partire da qui: "stiamo seguendo un percorso, non sempre chiaro, che ci ha portato a essere più forti".
Ovvero agire, anziché ignorare.

Spesa pubblica made in UK

Il grafico interattivo pubblicato sul Guardian fornisce un interessante spaccato circa l’andamento della spesa pubblica in funzione dei governi e degli eventi storici succedutosi dal 1948.


Interessante non solo per il contenuto, l'info grafica ha un alto livello di efficienza nel raccontare i fatti. In perfetta funzione con il mezzo tecnologico.
I grafici interrativi sono strumenti che fanno - tendenzialmente - pochi click, almeno rispetto all'impegno che richiedono per la pubblicazione. Il motivo per cui in Italia ce ne sono pochi. Un peccato perché un grafico interattivo è contenuto - unico, originale, poco copiabile -.
E' contenuto che ha un senso sui device mobili, soprattutto per l'editoria professionale (in ambito finanziario e fiscale, per esempio).
E' contenuto per cui potrebbe valere la pena sottoscrivere un abbonamento.

venerdì 15 ottobre 2010

Il fascino del passato, l'incertezza del presente

Roy Greenslade racconta nel suo blog (qui) che gli studenti di giornalismo non leggono i quotidiani. Preferiscono il web per informarsi.
Eppure la stragrande maggioranza ambisce a un’occupazione presso i tradizionali media mainstream. Fascino di un'autorevolezza ancora forte. O forse consapevolezza che un’attività su internet è ancora – se è possibile – meno remunerativa e più incerta rispetto al lavoro nelle “vecchie” redazioni.

giovedì 14 ottobre 2010

Morti ammazzati, politica e costume

La ricerca "Osservatorio sugli stili e sulle tendenze di consumo degli italiani" - realizzata da Ipsos e presentata il 13 ottobre in occasione del convengo Consumers’ Forum – mostra l’occupazione della cronaca nera e della politica interna sul Tg1, che resta il telegiornale di maggiore ascolto in Italia. Gli spazi dedicati a questi argomenti – in aggiunta anche a “costume e società” – sono sensibilmente maggiori rispetto al trattamento riservato da altre testate europee. Si parla poco, invece, di economia e lavoro: su questi temi il Tg1 si pone in fondo alla classifica (la ricerca è disponibile qui).

Anche sulle altre testate televisive e su web mainstream (Msn, Libero, Virgilio, Corriere, Repubblica), la ripartizione editoriale segue la stessa tendenza, seppure in forme e modalità diverse.
La stessa ricerca evidenzia che alla domanda “quali sono i problemi più urgenti oggi in Italia?”, i cittadini indichino il lavoro e l’occupazione come fonte delle maggiori preoccupazioni.


Un segnale della trasformazione – in corso – dell’informazione in infotainment?

mercoledì 13 ottobre 2010

Giovinastri: delocalizzati oggi, lettori domani

Alan Mutter traccia il profilo dei nativi digitali (qui), utilizzando i risultati di un’indagine francese realizzata da Bva.
Un popolo, compreso fra i 18 e i 24 anni, che mostra attitudini e comportamenti in parte nuovi. La tecnologia si mischia alla giovane età. Il rifiuto generazionale dell’autorità è vecchio come la storia del mondo, manifestato in forme e modalità diverse. E poi arrivano la conoscenza multitasking, il consumo veloce dei contenuti. Conseguenze dell’età digitale, si dice.

Catturare il pubblico di domani, i nativi digitali, è una sfida, una delle tante che deve affrontare l’industria editoriale, ma anche chi dello scrivere ne fa una professione.

L’innovazione è un dettaglio. E’ la scatola. L’accento sulle potenzialità del social, sulle meraviglie tech, sulla comunicazione di massa, sono spesso autoreferenziali. Manca – e mi riferisco al paese in cui vivo e che conosco meglio – una scelta ideologica. Ovvero raccontare, costruire un contenuto editoriale per un pubblico di lettori, non utenti. Non sono banalità, anzi lo sono, in luogo normale del mondo non qui.

Ai nativi digitali si dovrebbe assicurare un futuro professionale, non di compratori di giornali. Le mirabilie digital-tecnologiche-social-mediali se non sono animate con gli scritti e l’impegno dei lavoratori – uso questo termine nel senso più nobile e più ricco – pagati dignitosamente e regolarmente sono prodotti scadenti. Un cambiamento in realtà è in atto, forse l’unico, ed è la delocalizzazione generazionale.

martedì 12 ottobre 2010

Superindice Ocse grande scultore

I primi otto mesi del 2010 registrano una robusta crescita degli investimenti pubblicitari, con balzi, per radio e internet, a due cifre (rispettivamente + 12,8 e + 17,7%). La stampa partecipa solo in parte alla ripresina. I quotidiani a pagamento beneficiano del segno positivo (+3%), ancora in forte sofferenza free press, - 10,8% e periodici, – 8,4% (qui in Prima comunicazione, il report completo su dati Nielsen).

Gurtej Sandhu, responsabile del Times digital, traccia un bilancio positivo sull’introduzione delle news a pagamento (Italia Oggi, martedì 12 ottobre 2010, pagina 19, resoconto dell’intervento tenuto in occasione del World editors forum di Amburgo). Il paywall – secondo Sandhu – avrebbe rinsaldato il legame giornalista-lettore e portato una maggiore fidelizzazione. Obiettivi, tutto sommato, raggiungibili pure attraverso l’offerta di contenuti free. Comunque, a ogni buon conto, i reali risultati economici saranno diffusi tra qualche settimana.

Dati che dovranno fare i conti con le condizioni dell’economia, il superindice Ocse registra un rapido deterioramento. Per molti paesi il ritorno alla crescita zero è un rischio concreto.
Il peggioramento – possibile, non certo – se sarà forte potrebbe ancora di più stravolgere i contorni del mercato editoriale sia tradizionale sia declinato al digitale.

lunedì 11 ottobre 2010

Sincronizzare

Xmarks è un ottimo e diffuso servizio di sincronizzazione dei bookmark. Utile per chi adopera computer diversi.
Pochi giorni fa la società ha dato annuncio dello stop entro la fine dell'anno. Ora sembra tornare i suoi passi (qui), forse - si legge sul sito - all'orizzonte si profilano società interessate a mantenere in vita il servzio.
Evviva, dunque? Intanto è partita una richiesta di sottoscrizione a pagamento.  Il gratis - seppure spesso apparente - è ovunque minacciato.

venerdì 8 ottobre 2010

Pensieri e parole

L’erosione del valore economico delle organizzazioni editoriali, impone dei cambiamenti. Che dovrebbero iniziare dal contenuto e non realizzarsi in strategie di marketing. Peraltro necessarie, ma come elemento di completamento e integrazione.

Raccogliendo osservazioni, riflessioni scritte su libri e online, alcuni spunti su cui tracciare le linee di un’innovazione, non strettamente tecnologica.

1) apertura non solo virtuale. Da seguire i casi in cui le redazioni escono dall’ufficio per installarsi fuori, tra la gente. Un quotidiano economico potrebbe organizzare giorni di lavoro dei propri giornalisti presso banche, poste. Una contiguità fisica con i potenziali lettori utile per creare rapporti di fidelizzazione.
2) collaborazione. Seppure ritengo che il lavoro professionale mantenga intatto il proprio valore, i contributi degli utenti diventano materiale per arricchire il contenuto e svolgere al meglio – post filtro e controllo – anche il ruolo di cane da guardia o comunque di servizio;
3) servizio, appunto. Il giornalismo d’inchiesta è importante in una società democratica, ma non è esaustivo. Un quotidiano deve fornire gli strumenti per capire la realtà, pure quella complessa, come la struttura giuridica/burocratica.

Il giornale diventa un centro di aggregazione, composto da lettori-comunità verticali, il cui rapporto – che si snoda attraverso l’elaborazione di contenuti originali e di qualità – recupera fiducia e credibilità. Due valori che hanno le potenzialità per introdurre un nuovo modo di promozione dei prodotti e dei servizi aziendali.

giovedì 7 ottobre 2010

La busta paga resta una giungla

Vittorio Zambardino chiede ai giornalisti di tornare a fare il proprio lavoro in maniera forte: "i lettori della rete non vi trovano soprattutto antiquati, vi trovano soprattutto inadempienti a un ruolo civile che si aspettano voi svolgiate". E agli editori una follia innovativa, che "non sono preparati a fare" (il testo integrale qui, Scene digitali).

La risposta ritenuta più efficiente – da entrambe le categorie – è quella del copia incolla, ovvero riprodurre sul supporto digitale quello che viene realizzato sulla carta. Zambardino parla di danno i-Pad perché ha "incoraggiato" una forma di conservatorismo, quella della riproposizione del giornale così com’è.

Forma mentale appiccicosa, spalmata su quasi tutte le testate online italiane.
E’ il caso, per esempio della guida alla busta paga pubblicata qui sul Corriere.it. L’argomento è solo apparentemente meno nobile delle inchieste – un buon servizio giornalistico e civile non è solo investigativo -.
Saper leggere il cedolino significa capire come si forma il proprio reddito. Eppure il quotidiano milanese non trova di meglio che pubblicare tre immagini della busta paga - l'impiegato, il dirigente, l'apprendista in maternità –, scannerizzate e scarsamente leggibili. Informazione approssimativa, nonostante l’articolo – che ha tutta l’aria d’essere un spot a favore dei consulenti del lavoro – si auto definisce "una guida ad alcune voci più frequenti dei cedolini d’Italia".
Valore e follia innovativa. Assenti, anche quando si parla di busta paga.

mercoledì 6 ottobre 2010

Note a margine

Open margin è una start up (segnalata da Luca Conti via Twitter). Si tratta di una piattaforma che si pone l’obiettivo di condividere tra i lettori le annotazioni pensate e tradotte in scrittura sui margini di un libro.
Progetto da seguire, forse da imitare. Soprattutto nel settore dell’editoria professionale. Uno strumento da offrire ai propri abbonati/utenti. La condivisione delle annotazioni, su un testo giuridico, su un manuale di contabilità, creerebbe tante comunità iper-verticali, profilate.

Ambienti nuovi, modalità di fruizione diverse dei contenuti. E un richiamo suggestivo al passato, ai quei giuristi che nel medioevo, attraverso una lunga opera di note – le glosse – hanno costruito, dalle fondamenta del Corpus Iuris Civilis, la moderna ossatura del diritto civile.

martedì 5 ottobre 2010

Trasparenza

European Journalism Observator pubblica un interessante articolo (qui) sul tema della credibilità. Sintesi di una tesi di laurea presentata presso la Technische Universität di Dortmund.
L’analisi è concentrata su quattro giornali, due tedeschi e due americani: la Frankfurter Allgemeine Zeitung, la Süddeutsche Zeitung , il New York Times e il Washington Post. E’ un percorso attorno alla questione della trasparenza delle fonti.

È possibile passare dal giornalismo d’inchiesta su carta e applicare i risultati dell’indagine – trasparenza => qualità => originalità dei contenuti - all’informazione online.
I dati Audioweb di agosto indicano 5 top traffico: Msn/Windows/Bing, Virgilio, Libero, Yahoo, La Repubblica, Corriere della Sera. Due siti d’informazione puri, altri tre hanno una forte componente editoriale (Virgilio, Libero e in parte Yahoo), solo Msn dedica meno peso all’informazione.
Ebbene applichiamo il tag “trasparenza delle fonti” sul pubblicato da queste testate. Il risultato è piuttosto scontato: nell’amalgama di bit offerto ai lettori, la ricerca di questo importante elemento che forma la qualità di uno scritto è ardua.

La puntuale trasparenza della fonte è propria del giornalismo d’inchiesta, mentre i siti online sono orientati a news fast food. Ed è questa la piega dell’informazione mainstream online. Ovvero un gioco al ribasso che in alcune realtà sta portando anche benefici economici – soprattutto in quelle non editoriali – ma che nel lungo termine minerà l’intero valore della filiera. Si paga un buon bicchiere di vino, non gli scrosci d'acqua piovana.

lunedì 4 ottobre 2010

Commenti a punti

I commenti sono utili per un sito d’informazione, ma possono trasformarsi in luoghi d’insulto, di minacce o, succede anche questo, in chat, dove si discute di tutt’altro (segnale, peraltro, da non trascurare).
Di solito ci si difende ponendo sotto registrazione l’uso dei commentari, soluzione che non elimina i rischi. E comunque rimane necessario impiegare risorse per il controllo. Le black list, basate su keyword, sono destinate a impietosi, quanto quotidiani, insuccessi.

La soluzione proposta da Reuters (qui da editorsweblog), in via sperimentale, va seguita con attenzione.
E’ un sistema che si fonda sulla reputazione sociale acquisita. In pratica i moderatori intervengono all’inizio, nel momento in cui un lettore comincia a utilizzare il servizio. Nel tempo, sulla base di valutazione fondata sulla bontà dei post, se l’utente si raggiunge un determinato monte punti, potrà commentare e discutere senza la necessità di alcun controllo o filtro.

venerdì 1 ottobre 2010

L'informazione che verrà

Giornalismo che esce dalle redazioni, entra nella comunità. E metabolizzato torna nelle redazioni per diventare articoli, opinioni. Sono le community news.
Il report - realizzato nell'ambito del progetto New Voices (J-Lab: The Institute for Interactive Journalism) - descrive l'attività di questi nuovi soggetti. Credo che la lettura sia consigliata.
New Voices: What Works

Corsera: la lettera, il contratto e la rete

La lettera del direttore De Bortoli ai giornalisti del Corriera (qui e qui il comunicato del Cdr) ha riportato d’attualità due temi.
Primo: la sostenibilità del contratto nazionale, nella sua parte economica e nella sua parte organizzativa.
Secondo, non meno importate: è stata ufficialmente sollevata la questione dell’applicazione dello stesso in numerose redazioni online ("… E, infatti, vi sfido a contare in quanti casi sulla rete è applicato il contratto di giornalista professionista… ").

La questione è questa: ha senso avere un contratto “forte” se poi non è quasi sistematicamente applicato in quel settori – la rete, il mobile – considerati i protagonisti principali nel modellare l’informazione di domani?
E non sempre le imprese ricorrono ad altri accordi collettivi con l’unico scopo – lo dico brutalmente – di pagare il meno possibile le risorse umane.
Forse il contratto non risponde più alla realtà della filiera produttiva.

Si dovrebbe avere il coraggio di comprendere le forme del odierno panorama informativo, per stilare regole diverse. Una nuova piattaforma comune che garantisca la tutela della deontologia professionale e dei diritti dei lavoratori. E nello stesso tempo permetta, a tutte le organizzazioni aziendali, di competere sul mercato ad armi pari.